MAURICE LEMAITRE
di Sandro Ricaldone
A quasi sessant’anni
dal suo primo manifestarsi, in una Parigi che nell’immagine divulgata dai
rotocalchi sembrava essere popolata in modo pressoché esclusivo da filosofi
stazionanti al caffè, da cantanti tenebrose e da giovani (esistenzialisti)
nerovestiti, il Lettrismo rimane un fenomeno ancora in gran parte da scoprire.
Benché abbia contribuito in misura determinante, al di là di ogni ragionevole dubbio, a
configurare lo scenario delle avanguardie europee del secondo Novecento,
tenendo a battesimo artisti e teorici che avrebbero dato nerbo a tendenze come
la Poesia Visiva, la Poesia Sonora ed il Nouveau Réalisme, non meno che a
raggruppamenti come l’Internazionale Situazionista, l’ostinazione nel volersi
protagonista di una rivoluzione culturale ad un tempo rigeneratrice ed
esclusiva ne ha fortemente limitato la conoscenza.
Il dinamismo del gruppo, eccezionalmente incisivo sino ai primi anni ’60, secondo quel che si
evince dalle invenzioni cinematografiche e dalle non fortuite anticipazioni
dell’happening e dell’arte concettuale, sembra infatti aver concentrato
i propri sforzi più sulla vertigine del dépassement di ogni precedente
manifestazione artistica e la elaborazione di un sistema onnicomprensivo e
coerente che sulla diffusione del proprio messaggio. Se questo atteggiamento ha
consentito di mantenere, anche attraverso una costante polemica con altre
correnti sulle priorità storicamente acquisite, una posizione ben definita e
scevra di compromessi, ha però precluso a lungo l’accesso agli ambienti ed ai
circuiti in grado di assicurare in modo permanente quella notorietà
internazionale che proprio in quegli anni veniva invece raggiunta da correnti
come la Nouvelle Vague o la Pop Art, bollate dai lettristi, non senza qualche
motivazione, d’escrocquerie.
Preceduta da esplorazioni americane (“Lettrisme: into the Present”, University of Iowa
Museum of Art, 1984; “Letterism & Hypergraphics. The unknown Avant-garde”,
Franklin Fornace, New York 1985)una
riconsiderazione del movimento ha luogo nel contesto francese sul finire degli
anni ’80 con rassegne allestite a Parigi come “Lettrisme: Les Débuts” alla
Galerie Rambert, “Le Demi-siècle lettriste” alla Galerie 1900-2000, “Le
lettrisme historique” alla FIAC, ed altre alla Galerie de Paris, o a Nizza
(“Introduction au lettrisme et à
l’hypergraphie”, Galerie Le Chanjour). Supportato anche da nuovi studi di
Roland Sabatier (“Lettrisme. Les créations, les créateurs”, Z Editions, Nice
1989) e di Frédérique Devaux (“Cinéma lettriste (1951-1991)”, Paris
Experimental, Parigi 1992), il Lettrismo entra poi da protagonista in due
grandi rassegne : “Poèsure et Peintrie” (Marsiglia, Vieille Charité,
1993), un ampio panorama storico della poesia visuale; “Hors Limites. L’art et la vie
1952-1994” (Parigi, Centre Pompidou, 1994).
Parallelamente in Italia - dove il Lettrismo era stato introdotto negli anni ’60 nell’ambito di
alcune rassegne curate da Michel Tapié e nel decennio successivo da studi
pionieristici di Mirella Bandini - si realizzano antologiche (“Lettrisme”,
organizzata a Firenze dalla Galleria Vivita nel 1989) e mostre itineranti (“Le
lettrisme”, con presentazione di Gabriele-Aldo Bertozzi, ospitata dai centri
culturali francesi di Roma, Venezia, Genova, Bologna e Bari a cavallo fra il
1989 ed il 1990) ed altre e personali (Isou all’Unimedia di Genova, ancora nel
1989). Un’altra presenza collettiva si registra alla Biennale di Venezia del
1993. Ma è solo con “Sentieri interrotti” (Palazzo Bonaguro, Bassano del Grappa
2000) e “Le tribù dell’arte” (Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea,
Roma 2001) che il Lettrismo viene incluso a pieno titolo nella panoplia delle
avanguardie, dando avvio a nuovi approfondimenti di cui questa prima personale
italiana di Maurice Lemaître costituisce una tappa particolarmente
significativa.
Quando il giovane Lemaître – già studente alla Scuola d’Arti e Mestieri con all’attivo
un’esperienza di collaborazione a Le Libertaire, il settimanale
della Fédération Anarchiste sulle cui colonne in quello stesso torno di tempo
doveva promuovere un’inchiesta, scandalosa per l’epoca e per la tribuna, a
proposito della figura di Ferdinand Cèline, processato per collaborazionismo -
incontra Isou, nel dicembre 1949, questi aveva già posto le basi teoriche del
Lettrismo, concepito come luogo per così dire geometrico del ribaltamento di
una tendenza “di cesello” che a partire dall’Ottocento, muovendo da Baudelaire
e Debussy aveva condotto al superamento della narrazione, del verso o della
frase musicale, consentendo d’isolare e di spezzare quindi la parola, scoprendo
nella lettera l’unità delle arti poetiche, sonore (e visive), dal quale avrebbe
tratto origine una nuova fase “d’ampiezza”, un’epica rigenerata. Ed aveva
concepito il quadro dell’ “economia nucleare” identificando nella gioventù,
esterna al sistema produttivo, il soggetto che avrebbe potuto rovesciarne i
valori.
Nella elaborazione isouiana Lemaître individua “la sola scala di valori nuova e precisa che oggi
possediamo”. E rende ad Isou il merito di esser riuscito nell’intento di
“spezzare quadri di riferimento esauriti, (di) annunciare un’epoca nuova, di
rendere disponibile una nuova materia”. Detto questo, manifesta sinteticamente
il suo intento, affermando che “occorre mettersi seriamente al lavoro, vale a
dire produrre delle opere”.
Non occorre ribadire sino a che punto Lemaître abbia tenuto fede a questo obiettivo.
Di certo nessuno, fra i Lettristi (senza escludere lo stesso Isou), ha rivelato un
vigore polemico ed un talento organizzativo pari al suo. Capace di trattare
dadaisti del rango di Raoul Haussmann e di Hugo Ball come “poetucoli miserabili
nei loro tentativi” e registi del livello di Alain Resnais da plagiari, ma
sensibile al tempo stesso verso altri precedenti storici al punto da
rivalutare, per primo in Francia, “L’arte dei rumori” di Luigi Russolo o da
avviare l’esplorazione del teatro futurista ed espressionista; brillante
nell’animare riviste (Ur, Front de la Jeunesse, Poésie Nouvelle, Lettrisme
etc.), cafés-thèâtre e cafès-cinémas (Le Colbert), nel curare edizioni
(attraverso il Centre de Créativité) e registrazioni sonore (“Maurice Lemaître
presente le Lettrisme”, Columbia ESRF 1171, 1958), appassionatamente
velleitario nelle sue candidature politiche, Lemaître è rimasto sempre in prima
fila, senza abdicare di fronte all’autorità del fondatore né in questioni
concernenti l’etica di gruppo né in tema di poetica. Ma per rendergli giustizia
occorre districarsi dai molteplici ruoli che ha rivestito in un movimento
numericamente abbastanza esiguo da imporgli un così grande investimento
d’energia in compiti di natura manageriale.
Perché Lemaître è non solo uno degli autori più prolifici e più completi del movimento, avendo
segnato i campi del romanzo, della plastica ipergrafica, della fotografia
infinitesimale o del teatro (oggetto di un manifesto ancor oggi esemplare). E’
(ed è destinato a rimanere) l’uomo di cinema di maggior spicco non solo in
ambito lettrista, ma – probabilmente – nell’insieme degli anni ’50, decennio in
cui pure appaiono opere fondamentali del cinema sperimentale, quali “The
Pleasure Garden” di James Broughton, “The Inauguration of the Pleasure
Dome”di Kenneth Anger e “Flesh of Morning” di Stan Brackhage.
Raggiunto il capolavoro al primo tentativo, con Le film est dejà commencé? (1951), pellicola
mixata con scarti di produzione, immagini graffiate, macchiate e sovrascritte,
destinata a costituire la base di una séance de cinema integrata da uno
schermo tridimensionale, da interventi di attori confusi fra il pubblico ed
altre forme di provocazione, Lemaître si è spinto oltre, saggiando i territori
del cinema supertemporale, aperto alla collaborazione - cronologicamente
sfasata - di autori diversi, e del film “immaginario” presentando una scatola
da pellicola ed invitando il pubblico ad inventarne il possibile contenuto.
Altri contributi essenziali sono venuti nel campo del romanzo ipergrafico (in cui le parole sono
mescolate alle immagini, con un impatto evocativo immediato), ove le dieci
tavole del suo “Canailles” (1950) - insieme a “Les Journaux des Dieux” di Isou
e “Saint Ghetto des Préts” di Gabriel Pomerand – pongono le basi di un
autentico rivolgimento della prosa letteraria. Quanto alla sfera delle arti
visive, dove pure Lemaître ha spaziato, ci limiteremo a citare due fondamentali
apporti innovativi: la grande cassa di legno, presuntiva custodia di una
“Sculpture inimaginable”, presentata nel 1964 al Salon Comparaisons, in
cui si affaccia un tema che sarà rielaborato più tardi da autori concettuali
(Mel Ramsden) e Fluxus (Eric Andersen); la séance d’art corporel
supertemporelle svoltasi l’8 dicembre dello stesso anno alla Galerie
Connaître di Parigi, in cui l’artista presentava il suo corpo come supporto per
la realizzazione d’interventi grafici da parte del pubblico.
La sequenza di lavori che forma il nucleo di questa sua prima personale in Italia è costituito da
dodici tele (delle venti originarie) realizzate nel 1987 ed esposte nello
stesso anno presso la Galerie Jacques De Vos di Parigi.
Lemaître vi coltiva con originalità una
forma di saggio o di pamphlet “contro il liberalismo banale e retrogrado, per
il liberalismo dei creatori” tutto risolto in termini visuali, dove l’aspetto
grafico dei segni alfabetici si converte in movimento compositivo ed in
accensione cromatica, salvaguardando e rimarcando al tempo stesso i
significati, sovente condensati in citazioni-slogan (“plus de richesses et plus
de bonheur”), od articolati attorno a figure-simbolo, come Alexis de
Tocqueville o Machiavelli, di cui riprende le raffigurazioni più famose.
All’accumulo di materiali discorsivi eterogenei (le citazioni di cui già s’è
detto, definizioni di tipo enciclopedico, schemi, memorie storiche, riflessioni
svolte in prima persona) fa riscontro un continuo slittamento formale che
accosta andamenti sinuosi a balloons fumettistici, sovrapposizioni di
calligrafie corsive a sfondi in caratteri capitali, spazi interattivi, dove il
pubblico è chiamato a registrare le proprie opinioni ad elementi oggettuali.
Una molteplicità di registri narrativi e visuali che converge verso
l’affermazione conclusiva: “la felicità è il fine supremo della creazione”.
Un’affermazione che riverbera sulle altre opere in mostra, sulle “lettere deliranti” inviate ad una
persona amata o, per rimprovero, a un critico cretino, alle pittosculture
costruite assemblando i giganteschi caratteri tipografici in legno un tempo
utilizzati per la stampa di manifesti, e che a livello di poetica trova il suo
complemento ideale in una frase di Van Gogh, trascritta su uno sfondo vivido di
colore: “la nostra opera sia così sapiente da apparire ingenua”.
2002
Testo del catalogo pubblicato in occasione della mostra personale di
Maurice Lemaitre allestita dalla Galleria Roberto Peccolo di Livorno, nell'aprile 2002.
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