PER UNA CARTELLA DI TOOL di Sandro Ricaldone Troncato a metà, longitudinalmente, sui
margini del manifesto nero disegnato da Fronzoni, tool: ricerche
interlinguistiche, titolo illeggibile, pone ancora prima (al di qua) della
mostra che introduce - ormai, da anni, dispersa - la questione che ne forma
l'oggetto: il rapporto, nello spazio della pagina/tavola, fra i tratti
grafico-estetici e la componente proposizionale del fare poetico. Ad un livello, se si vuole, minimo,
prossimo all'annichilimento, giacché il dato visivo appena si serba nei
caratteri recisi e trasposti in verticale, mentre il flusso di significato
sembra debordare o, più radicalmente, venir sospinto fuori campo; palesemente
riduttivo rispetto al modello proposto da tool, che si rapporta ad una
concezione totalizzante, seppure implosiva, della poesia come scrittura
simbiotica. Confrontato alle misure prevalentemente
segniche dell'ipergrafia lettrista ed a quelle rigorosamente compositive della
poesia concreta, lo schema analitico proposto da Carrega sul primo ciclostilato
di tool mostra in effetti una connotazione complessa che si propone di assumere
e dispiegare (di isolare e di ricomporre) ogni possibile fattore poetico di
base, con qualche compressione, peraltro, sul piano fattuale, dei risvolti
fonetici. Se l'esperienza di Ana etcetera, nel cui ambito il progetto di tool
viene a maturazione attorno al 1964 per iniziativa di Ugo Carrega, con Lino
Matti e Rodolfo Vitone (provenienti invece dal Gruppo di Studio), si
qualificava come una sorta di utopia dei possibili, come ricerca
costitutivamente multidirezionale, protesa verso un "processo
pensierale" più vasto, l'idea della scrittura simbiotica si inscrive in
uno spazio squisitamente poetico di cui vogliono sovvertire le stratificazioni
interne per produrre una sorta di contestualità suscettibile di potenziarne
l'impatto. Di questa direttrice operativa, centrata
sulla connessione di materiali segnici, tipografici, cromatici ed iconici (ma,
si direbbe, più in una prospettiva intrapoetica che con esiti d'ibridazione
interlinguistica) costituiscono esempio le grafiche raccolte nella
cartella/catalogo che ora si espone, integrata da opere originali (anche di
Luigi Tola, il cui lavoro presenta significativi punti di tangenza con tool)
e dalla musica composta da Roberto Aloi. Vincenzo
Accame in "una
linea circolare" esibisce
il suo caratteristico
procedimento di conversione dei materiali verbali trascritti con grafia
minutissima, in traccia lineare il cui impianto geometrico sembra disperdersi nella progressiva dilatazione del
raggio e nell'infittirsi delle sovrapposizioni. Ugo Carrega‚ scardina l'ordine sequenziale
del libro affiancandone le pagine in un
riquadro ("dal rosso in poi",
1970) che permette una lettura
simultanea, in grado di provocare associazioni visive e intrecci di sensi volta
a volta diversi. In
"I write you read"
(1971), Joe Di Donato oppone la
parvenza diretta, violenta, dell'impronta cromatica alla tautologica elementarità
del messaggio verbale, rompendo il flusso d'intensità visiva con il tono neutro
della comunicazione linguistica. Tomaso
Kemeny‚ (con "meard/dream"
1971) propone uno schema ove la parola è assoggettata ad un processo permutazionale che, recidendo il legame con
il referente, derealizza l'espressione vocale, mutandola in astratta
catená combinatoria. Massimo
Mariani‚ ("Ogni volta diverso", 1971) attiva un
gioco di scambio fra
identità e differenza sovrapponendo all'iterazione del senso
proposizionale le peculiarità delle variazioni via via introdotte nel lettering. Rolando
Mignani‚ ("Mohyaiddin ibn Arabi Kitaa el-isra" -Libro del viaggio notturno-
1971) opera invece
sullo scarto fra
la banalità dell'immagine -
una sorta di collage di marchi
di lampadine, attorno al quale
ruota un diagramma delle fasi lunari - e la vertiginosa profondità misterica
del dualismo tra luce e tenebra. Paolo
Viganò dispone sulla pagina una formula litanica in cui il procedimento d'allitterazione
risulta scisso da ogni risvolto significazionale e si risolve perciò in una
mimesi dell'involucro, in jonglerie stilistica. Dell'assemblaggio di excerpta iconici e
verbali (lettere, ingranaggi, adesivi, pezzi di motore) Rodolfo Vitone‚ fa non
il riflesso minaccioso d'un cosmo frammentato od un'accumulazione di materiali straniati ma, si direbbe, una realtà
eventuale, un luogo di accadimenti ove la separazione si converte in legame, la
sottrazione di senso in possibilità di nuova storia. L'immagine dell'occhio, tratteggiata da
Luigi Tola‚ a sovrastare una pagina di tracce tipografiche quasi
illeggibili, rimanda ad una volontà di esplorazione del mondo -
ribadita nello scarno testo descrittivo/programmatico che
scorre più in basso - in cui l'abituale connotazione ricettiva dell'apparato
visuale si converte in funzionalità dinamica, di "prolungamento del corpo
e dell'anima", di "mano che afferra i materiali dell'Universo, i materiali
di ogni attività e di ogni esperienza e li consegna all'Essere". L'installazione di Roberto Aloi prende
spunto dalla tavola di Kemeny di cui propone una lettura ove ai segni grafici e
alle interpunzioni come agli anagrammi ed ai colori è attribuito un'arbitrario
valore sonoro nell'ambito di una cornice che riprende a livello d'immagine,
nell'opposizione fra terra ed acqua, la valenza antitetica fra il tono
(foneticamente) sordo di meard e l'accento cristallino riconoscibile in dream. (1995) >>> TORNA ALLA PAGINA
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