A PROPOSITO DI ISIDORE ISOU E DEL
LETTRISMO di Carlo Romano e Sandro Ricaldone Ai primi di maggio del 1947 la copertina
di "Samedi-Soir" ritraeva - fotografati da Willy Rizzo, futuro
compagno di Elsa Martinelli - un giovane nell'atto di reggere una candela e una
giovane in pantaloni. Lui, tale Plemiannikov, sarebbe diventato il primo dei
numerosi "signori Bardot", benché di preferenza optasse per l'essere
chiamato con un nome, Roger Vadim, assai meno impegnativo sia dell'originale sia
di quello che un'anagrafe inflessibile
e patriarcale non gli avrebbe tuttavia potuto riconoscere. Lei, Juliette Greco,
si sarebbe più tardi sposata con un simpatico attore, Michel Piccoli, propenso a mostrare sullo schermo una
cospicua peluria appena mascherata da mutande e canottiera - indossate, del
resto, con invidiabile esibizionismo. In altre parole quella lontana copertina
condensava una buona fetta del "tout Paris" dei successivi
trent'anni. Il problema che si poneva allora non era comunque la brillantezza delle
stelle che si specchiavano sulla Senna, o di quali e quante consuetudini esse
avessero con stuzzicanti amenità come le famiglie principesche o i più
esclusivi luoghi di villeggiatura. Si doveva dar conto, piuttosto, di come
vivevano, quali gusti avessero, coloro che senza mezze misure venivano definiti
"i trogloditi di Saint-Germain-des Prés", la nuova popolazione
giovanile che, avendo invaso la strada parigina e le sue adiacenze, preoccupava
i benpensanti non meno di quanto eccitasse le cronache. Jacques Robert, il giornalista autore
dell'articolo, dopo aver parlato di maglie e pantaloni, segnalava come questi
giovani avessero sostituito le tradizionali oscenità vergate sulle pareti dei
cessi nei bistrot con pensieri ben più angosciosi ed originali. Uno di questi
era riportato anche in copertina: "è tale il mio risentimento che vorrei
rinascere in un disastro ferroviario".
Trogloditi sì, ma non per questo privi di una qualche esacerbata finezza
o velleità. Che li si dovesse chiamare, sulla scorta della filosofia sartriana
allora in voga, "esistenzialisti", poteva anche avere una sua
pertinenza, tant'è il nome è rimasto.
Dal canto suo, Jean-Paul Sartre - il quale a Saint-Germain-des-Prés
aveva piantato le radici ormai da tempo, e non cercava quindi la novità nel
recarsi a bere e a scrivere nei locali di Flore o dei Deux Magots - soleva dire che quei ragazzi non avevano
nulla a che fare con lui, né lui con loro. Si poteva cogliere d'altronde una
certa incongruenza nell'indicare in un uomo che aveva già passato la quarantina
una sorta di trascinatore di quell'incontrollabile massa giovanile attaccata ai
propri vent'anni. Ciò nondimeno uno dei graffiti raccolti da Jacques Robert
andava dicendo che "esistenzialista è chi ha Sartre nel sorriso". Non
c'è dunque da stupirsi che la filosofia dello scrittore, diventato
improvvisamente famoso nel mondo intero, potesse interagire con le intemperanze di quei giovani o che,
perlomeno sul piano della notorietà, qualcosa di reciproco ci fosse. D'altra parte che proprio Sartre avesse
offerto una rubrica di "Les Temps Modernes" a uno dei giovani
animatori (ed etnologo postumo) di quei luoghi e di quegli anni, Boris Vian,
qualcosa doveva pur significare. Non erano tuttavia soltanto quelli del
giro di Sartre gli intellettuali che, avvezzi o meno ai locali del quartiere,
partecipavano della nuova eccitante realtà, sebbene non sempre, o non
esattamente, per confondervisi, fiutando piuttosto l'occasione di poter fare
notizia. Jean Cocteau, in stato di
grazia cinematografica, era fra questi. Andava al Tabou, la "cave"
per eccellenza, accompagnato da Christian Bérard, lo scenografo dei suoi
films. E' a quest'ultimo che si deve
un'osservazione, in qualche modo definitiva, sulla prevedibile piega che
avrebbe preso la punta più mondana e chiacchierata, ancorché
esistenzialisticamente patibolare, della gioventù. Stava commentando le toppe di visone applicate a un paio di
pantaloni quando la Greco gli chiese cosa fosse l'animaletto in questione. "Presto la saprai" fu la lucida risposta. E' difficile stabilire se, e come, questa frivola saggezza dei più anziani
abbia ottenuto il debito peso morale.
Ad ogni modo fra i giovani che sembravano un'unica massa di fanatici del jazz e spregiatori del
bagno, l'élite del quartiere era ben lontana dal raccogliere quell'unanime
adorante consenso che le veniva concesso dalle prime folle dei turisti - seppur
indispettite dal non trovare i nuovi eroi intellettuali al posto di comando
indicato sulle gazzette, dal quale si erano prudentemente ritirati. In un contesto dove la ritrovata allegria sembrava fare continuamente i conti
col problema filosofico (o concreto) del suicidio e con le passioni dettate da
un "impegno" che aspirava a dilagare nel politico, c'era anche chi si
proclamava baldanzosamente "disimpegnato" e rifiutava i nuovi e
spesso crudeli culti civili non meno di quanto mal sopportasse i vecchi. Non del tutto privi di ammirazione per Jean
Paul Sartre, che avrebbero tuttavia
fatto oggetto d'un paio di pamphlet, questi altri giovani esemplari, saturi di
buone letture, avevano già trovato in D'Artagnan e Julien Sorel quello che la
massa aveva scoperto in Roquentin e Mersault - quantunque ne derivasse una
diversa inflessione per cui i tormenti
sull'assurdità della vita potevano venir leniti da una corsa in Jaguar. Se la maggioranza dei giovani mostrava di
essere orientata "a sinistra", il loro porsi (in termini assai
peculiari) "a destra" era certo un modo come un altro per sfuggire
alle insidie del conformismo e ottenere, come si direbbe oggi,
"visibilità, ma soprattutto, nei fatti
- e nelle circostanze di allora
- poteva paradossalmente corrispondere a una scelta per - di fondo libertari -
tirarsi fuori dalla politica e aver
così da parlare senza i vincoli che essa crea.
Per il resto, in barba all'anticonformismo, la loro grande occupazione -
la quale, diversamente dal lavoro, non si misurava in tempo bensì in litri,
come il vino - era quella dell'intero quartiere, cioè trangugiare ogni sorta di
liquido fuorché l'acqua. D'altronde alcune testimonianze sono propense ad
indicare giusto in uno dei letterati vicini a questo gruppo, Antoine Blondin,
il bevitore più scatenato. Jean Cau,
dapprima giovane comunista e segretario di Sartre poi gollista e
quant'altro, raccontava di averlo
incontrato al mattino presto davanti al quindicesimo pastis. Vinse anche il premio letterario istituito
fin dagli anni trenta ai Deux Magots,
il locale preferito dai surrealisti (in giuria c'erano stati, fra gli
altri, Jacques Baron, Michel Leiris, Georges Ribemont-Dessaignes) e viene da
pensare che gli indubbi meriti di Blondin passassero in secondo piano rispetto
alla netta vittoria conquistata sul campo della mescita. La dissidenza meno assimilabile, del tutto
estranea a quel po' di omertà presente fra gli uomini di lettere, era
rappresentata da un piccolo gruppo il quale, ancorché partecipe della
fenomenologia riscontrabile nella famosa strada, poneva la sua ragione d'essere in termini solo apparentemente intrinseci
alla letteratura e all'arte in genere -
delle quali per altro reclamava lo sviluppo ultimo - quando concretamente ne
stravolgeva ogni principio e ogni pratica corrente, compresa quella
dell'avanguardia, della quale ciò nondimeno costituiva palesemente un
ramo. Dal momento che si proclamava
"lettrista", il gruppo dava
esplicitamente a intendere una sua filiazione dalle più classiche aspirazioni
del simbolismo, fornendo altresì una
chiave per associarlo alle correnti cosiddette "moderniste", tentate
dagli inediti tecnicismi piuttosto che dalle azioni perturbative. Rispetto ai
compiti che si erano proposti i tonanti e distruttivi movimenti di prima
della guerra, il nuovo gruppo poteva
sembrare d'altra parte un piccolo ed innocuo sodalizio di tipo studentesco, di
quelli che si dedicano alla poesia
pensando di dire l'ultima parola, ma questa volta l'aggressività non
mancava. La sua prima clamorosa
iniziativa pubblica fu quella di disturbare nientemeno che una conferenza di
Tzara, e tutto fa credere che venisse preso sul serio. Quanto alla collocazione nell'alveo
dell'avanguardia, per evidente che fosse, poggiava sì a questo punto sopra
comuni fondamenta, ma solo a patto di riconoscervi la necessità di oltrepassare
il tipico nichilismo dadaista.
Avanguardia e modernismo avevano da ritrovare nel lettrismo le loro
affinità, l'una quale punta avanzata del mutamento e l'altra come ricerca della
nuova sensibilità che lo rende possibile.
Diverso dalle temperie karamazoviane e pessimiste proprie dell'esistenzialismo
come da quelle, di altra derivazione ma per alcuni versi analoghe,
dell'avanguardia storica - Breton aveva scritto a suo tempo che riconciliando
l'uomo con l'istinto essa si poneva fuori da ogni criterio morale e di gusto -
il lettrismo aveva poco o niente di nero e
sulfureo ma, invitando a un ottimismo il quale, senza dover tributare
alcunché a Condorcet o a Comte, era comunque schietto, non desiderava certo la
tranquillità per sé e per gli altri. In
altre parole, dava la misura di come, secondo il vecchio detto che le vie del
signore sono infinite, il risultato non sempre sia alla ricerca delle stesse
premesse. Glorificando l'arte ne intendeva colpire concretamente il nucleo di
resistenza con una intensità pari a quella di chi la voleva una mistificazione tra le più alienanti. Isidore Isou, il fondatore del gruppo,
veniva dalla Romania, dove era nato nel 1925. Alla fine del 1944 la guerra a
Bucarest era conclusa. Perché scelse di
emigrare a Parigi è lui a dircelo: "Ho esitato fra l'andare in Russia, il
paese di Ehrenburg e Gorki, o l'andare a Berlino, dove potevo fare lo scrittore
yiddish. Quando scoprii che la Francia era il paese dell'avanguardia, ho
abbandonato tutte queste idee, ho smesso di leggere libri in tedesco e in
inglese e mi sono concentrato sulla lingua francese...se volevo diventare
scrittore, dovevo raggiungere Parigi. Anche prima di concepire il lettrismo
volevo venirci, perché rappresentava la letteratura più avanzata". Un'anima candida, evidentemente. Il suo era un nome de plume. Si chiamava
in realtà Goldstein ed era ebreo, cosa che, sebbene a correnti alternate, per
alcune sue teorie non è priva di
importanza, come si vedrà meglio in seguito.
Poeti ed ebrei rumeni erano anche Tzara e Paul Celan che come lui
avevano elevato Parigi ad abituale residenza. Con un po' di buona volontà e
tanta fantasia, a prescindere dal fatto che Celan scriveva in tedesco, Isou si potrebbe mettere fra i due, ancorché
venga da pensare che il tipo di operazione, alla quale per il solito dedicano
tante premure, riuscirebbe in questo
caso sgradita agli specialisti della letteratura. Per Tzara chiuderebbero anche
un occhio, "più storia dei movimenti culturali che poesia" - è facile
immaginare la sentenza - ma su Celan non transigerebbero: è profondo. Quando si
scrive in modo sibillino si hanno o poeti o ciarlatani. Dove mettere Isou? Arrivando a Parigi dalla
Romania egli non si dava pensiero al riguardo di una futura collocazione, tanta
era la sicurezza nei propri mezzi. A
Frederique Devaux, autrice di una lunga intervista, dirà: "come ha scritto
Henri Murger ne La vie de Bohème, uno sconosciuto attende, scrivendo nella sua
camera, che qualcuno lo scopra e lo innalzi fino al pinnacolo". Qualche santo provvederà, dunque. Tanto
candore non ne faceva ad ogni modo un Forrest Gump del 1945, tutt'altro. Isou
sapeva come farsi strada e, al pari di tutti i finti ingenui, non aspettava che
di giocare le sue carte: "un autore deve imporre la propria opera, deve
cominciare ad imporsi con una super-propaganda vicina allo scandalo. E' quel che ho fatto".
Per prima cosa si trovò un discepolo,
sufficientemente debole, bisognoso d'affetto e di bistecche, al punto di
innalzare da subito il maestro alle auspicate vette, conferendogli ulteriore
sicurezza. Si chiamava Gabriel Pomerans, anche lui era ebreo e anche lui scelse
di cambiarsi il nome, ma con minimo sforzo, diventando Pomerand. Nel 1956 venne espulso dal
lettrismo e finì, quindici anni dopo, per suicidarsi. All'azione combinata dei
due e di un paio di adepti conquistati alla causa - che faceva seguito a un
fallimentare tentativo di qualche giorno prima per coinvolgere la stampa - si
deve la rumorosa iniziativa di disturbo alla menzionata conferenza di
Tzara. Stava parlando Leiris.
L'indomani tutta Parigi, per lo meno la rive gauche, ma la cosa aveva
finalmente stuzzicato i giornali, sapeva chi erano quei lettristi dei quali
avevano distrattamente letto qualcosa su dei fortunosi volantini appiccicati ai
muri nottetempo. Anni dopo, nel 1963,
ormai facenti parte d'un movimento temprato dalle scissioni, i lettristi, in
fondo rispettosi di chiunque avesse rappresentato la novità in arte,
parteciperanno ai funerali di Tzara prendendosela coi burocrati stalinisti che
lo stavano interrando. Nel 1946
dovevano viceversa mostrare i muscoli.
Che un'ingiuriosa aggressività li imparentasse all'avanguardia, era
altresì una delle prime acquisizioni ai loro riguardi. Tanto fecero che,
allacciati i rapporti coi surrealisti - dai quali li dividevano in realtà molte
cose - credettero perfino di riuscirne a sconvolgere il consolidato
organigramma. Fatica inutile, ovviamente.
Isou si lamenterà successivamente di essere rimasto escluso da l'Anthologie de
l'amour sublime (1956) di Benjamin Péret, ma un vero risentimento non gli
sarebbe mai convenuto. Pomerand si era dato oltremodo da fare,
perfino chiedendo l'elemosina, così da assicurare al capo sostentamento e
proseliti, i quali in breve tempo divennero tanti abbastanza da costituire una
presenza non più trascurabile di Sain Germain des Prés. Gallimard, che era
stato avvicinato precedentemente con qualche sotterfugio, si convinse alla fine
di pubblicare quanto Isou gli era già andato proponendo. Nel 1947 uscivano due
libri, Introduction à une nouvelle poèsie et à une nouvelle musique, il titolo
inutilmente proposto prima all'editore, e L'agrégation d'un Nom et d'un Méssie,
assai rivelatore dell'abnorme ego che l'aveva concepito. Prendeva forma in
questo modo "la dictature lettriste" - che è peraltro il nome di una
rivista, cahiers d'un nouveau régime artistique, rapidamente decaduta - ma
è difficile stabilire chi ne dovesse sopportare il carico, quale che fosse. A parte Pomerand, votato a fare
l'Apostolo, c'era viceversa di che anarchicamente divertirsi. Nel 1949 Isou pubblicava, non più con Gallimard,
bensì con le edizioni Aux Escaliers de Lausanne (da lui stesso create in
memoria dell'accoglienza riservatagli dagli studenti della città svizzera), una
sorta di romanzo erotico, arricchito da brani sessuologici, basato sulle sue
proprie esperienze. La fama di libro
pornografico gli procurò, come allora succedeva, alcuni fastidi con la legge - del resto benvenuti quale fonte di
pubblicità. Breton, Tzara, Cocteau, Aymé, fra gli altri, firmeranno una
petizione di soccorso. In questo modo
la sensazione di avere a che fare con qualcosa di gradevolmente sovversivo si
fece ulteriormente largo. Se la rive gauche del dopoguerra
costituiva una vera e propria cassa mondiale di risonanza, aveva tuttavia il
difetto di azzerare le differenze nel fenomeno di costume, osservato per lo più
con leggerezza. A vario titolo, il
pettegolezzo faceva il suo corso come forma di critica a buon mercato che
rinsaldava le fila dei vari gruppi di flaneurs male in arnese. Giochi di parole
sul tipo di "Saint Germain des pedé" erano assai frequenti. Nel 1950 Pomerand, pubblicando un
libro, Saint Ghetto de prets,
dimostrava ancora una volta come i lettristi non fossero semplici comparse passive. Per quanto non accorgersi di loro fosse
ormai impossibile, il parlarne a ragion veduta restava difficile, vuoi per
pregiudizio, vuoi per un certo paternalismo della cultura ufficiale - oltre che
per l'ermetismo del loro linguaggio (il libro di Pomerand era zeppo di oscuri
simboli). Fra gli americani a Parigi si accorse dei lettristi un giovane Robert
Shattuck, futuro storico dell'avanguardia in odor di patafisica (è
"provèditeur géneral", o giù di lì, del celebre "College"),
che inviò una sua corrispondenza ad "Accent", ma il tono non usciva
dalla perplessità, né ci si deve stupire. Chi guardava alla Parigi di quegli anni
(ma chi non lo faceva?), assisteva alla fondazione di nuovi giornali e nuove
riviste (non solo "Les temps modernes", basti pensare a
"Critique", a "La table Ronde" o a "Les lettres
francaises"), si imbatteva in "affari" appassionanti e non di rado
partigiani (da quelli legati alla "epurazione" all'affare Kravcenko,
ai "cittadini del mondo" di Garry Davis), ritrovava i vecchi
protagonisti come Cocteau in forma smagliante e ne scopriva di nuovi come
Ionesco (per il quale Bataille si scomodò al punto di fare da "uomo
sandwich" per publicizzare la prima de La cantatrice calva). Un'occhiata
ai titoli dei libri usciti a Parigi in quegli anni è rivelatrice. Solo per farsene
un'idea: Paroles di Prévert (1945), Le déshonneur des poétes di Péret (1945),
Traversée de Paris di Marcel Aymé
(1946), Le Bavard di de Forets (1946), Le Sabbat di Sachs (1946), J'irai
cracher sur vos tombes di Vernon Sullivan-Boris Vian (1946), La peste di Camus (1947), Animaux Familiers, Carnets de Don Juan ed
Essai sur moi-meme di Jouhandeau (tutti
nel 1947), Humanisme e terreuer di Merleau Ponty (1947), Exercises de style di
Raymond Queneau (1947), la raccolta dei
Poèmes di Breton (1948, ma negli anni
immediatamente precedenti erano usciti anche Arcane 17 e l'Ode à Charles
Fourier), Poèmes politiques di Eluard
(1948), Le corps tranquilles e Caroline chèrie di Jacques Laurent (1948, il
secondo come Cècile Saint-Laurent), Le
hussard bleu di Roger Nimier (1948),
La part maudite di Bataille (1949), Journal du voleur di Genet (1949), Lautremont e Sade di
Blanchot (1949), Les structures
élémentaire de la parenté di Lévi-Strauss (1949), Dialogues des Carmélites di
Bernanos (1949, postumo), La cantatrice chauve di Ionesco (1950), La
littérature à l'estomac di Gracq (1950),
L'homme révolté di Camus (1951), Le rivage de Syrtes di Gracq
(1951), En attendant Godot di Beckett
(1952), Saint-Genet di Sartre
(1952), Feérie pour une autre fois, di
Céline (1952). Si tenga inoltre
presente che nella stessa tornata di anni facevano la loro comparsa diversi
libri poetici di Char, Ponge, Frénaud e Tardieu, uscivano alcune opere
saggistiche (e diaristiche) di Mauriac (nonché svariate dell'attivissimo
figlio, Claude), almeno tre libri di Aron, le prime raccolte delle Situations
di Sartre, gran parte dei suoi drammi e, fra le altre non poche cose, nel 1946,
il testo della sua conferenza del 1945 L'existenzialisme est un humanisme, che
contribuì come nient'altro a farlo diventare un personaggio pubblico. In un terreno. Come quello rappresentato
da Saint-Germain-des-Prés, fertile al punto da lasciar confusi, l'aver ottenuto
di essere riconosciuti come parte dinamica e caratteristica era già un
risultato ragguardevole. Nello stesso affaccendarsi megalomane di Isou si profilava qualcosa di eroico. Non mancava
comunque chi, fra i dati più appariscenti e bozzettistici, cercava i ragguagli
d'un nuovo genere artistico e
letterario. E' il caso d'un bravo cronista italiano, Bruno Romani (già
fascistissimo collaboratore di "Primato", ora liberale) il quale in
due fitte pagine riusciva a comporre un profilo che, nella sua brevità, resta a
tutt'oggi in larga misura esemplare: ... "Le serate lettriste erano
animate e fervide. Esse ricordavano quelle del futurismo italiano. Le polemiche
e le discussioni nascevano nella sala, e si sviluppavano tra il pubblico e gli
oratori, con scambi di ingiurie e di battute. E terminavano in una baraonda
indescrivibile...". ... "Quando Isou giunse a Parigi già
portava dentro di sé i suoi progetti letterari e artistici. Aveva meditato a
lungo sulla evoluzione della poesia, scoprendovi l'esistenza di due epoche, o
due cicli: l'epoca "amplique" che va dai greci fino a Baudelaire, e
un'epoca "ciselante" da Baudelaire ai nostri giorni. Nel corso del
primo ciclo la poesia impegnava tutto l'uomo, proponeva e risolveva problemi
umani, sociali e storici. Nel corso del secondo ciclo è il "cesello"
che prevale su ogni altro interesse.
Esso coincide con la ricerca e la creazione della poesia attraverso la
parola. Il surrealismo, infine, con la sua estetica dell'automatismo, porterà
la dissociazione della parola dal contenuto fino alle sue estreme
conseguenze. Una terza epoca della
poesia nasce, secondo Isou, con la dissoluzione delle lettere e della parola
che conduce alla creazione di un motivo poetico-musicale ... Isou a tal
proposito cita spesso passaggi degli Uccelli di Aristofane, delle favole di La
Fontaine, del Borghese gentiluomo di Molière, eccetera. Ma il valore musicale delle lettere in sé e
per sé non era stato ancora affermato. Il numero delle lettere, secondo i
lettristi, non è fisso: gli accoppiamenti, gli accenti, le cesure, creano tutta
una nuova gamma di lettere. Isou ne ha, dal canto suo, scoperto ben 18 ". ... "Isou aveva delle idee e cercava
un interprete fedele per esprimerle in buon francese: e l'interprete fu Pomerand.
Il lettrismo è figlio di due padri, Isou e Pomerand ... egli declamava, davanti
a un pubblico borghese e cosmopolita, poesie lettriste. Con voce nasale scandiva i ritmi; la
successione dei suoni dolci, gutturali, duri, disorientava il pubblico che
reagiva o con la indignazione oppure con l'ironia ... I lettristi avevano preso assai sul serio la loro missione. Almeno una volta alla settimana gli adepti
si riunivano in una libreria delle Tuileries intorno ai due fondatori:
discutevano di estetica, leggevano poesie, formulavano progetti ...". Alla fine della sua ricognizione,
indubbiamente accurata, Bruno Romani riteneva di scorgere nel lettrismo un
movimento immalinconito con un capo avviato alla normalizzazione. Come prova di
ciò citava la conversione dei lettristi al cinematografo, quasi che fossero
tentati, sembra di leggere fra le righe,
di diventare dei Gerard Philipe.
Il libro di Romani, Parigi d'oggi (Leonardo da Vinci editore), non
portava alcuna data. La copia in nostro
possesso reca tuttavia un'annotazione del libraio con l'indicazione del nome
del grossista e la data d'acquisto, un giorno del 1951. Una breve ricerca su un
repertorio bibliografico dell'epoca ci ha confermato l'anno di edizione, il
1951, che è effettivamente l'anno in cui Isou girava il suo primo film, Traité
de bave et d'eternité, e diffondeva il Manifeste du cinéma discrepant. In un certo senso, quindi, ci sarebbe di che
convenire nuovamente con la bontà
dell'informazione di Romani, il quale propendeva anche lui a fare del lettrismo
soltanto "una stagione della giovinezza", indissolubilmente legata
all'originario subbuglio di Saint-Germain-des-Prés e basta. Viceversa, con le sue nuove iniziative -
che non costituivano certamente i mezzi più idonei ad una carriera normalmente
intesa nella settima arte - Isou intendeva continuare a far rumore ampliando le
attività del movimento, tanto che a
partire dal 1949 erano state poste le basi di un'azione più ampia e massiva. In
quell'anno Isou si incontrava col
giovane anarchico Maurice Lemaître (in
realtà Moïse Bismuth, un altro ebreo che cambia nome) destinato - più storico
ed esegeta che apostolo - a sostituire
strada facendo Pomerand. Sempre in quell'anno - ma vi aveva senz'altro già messo mano da tempo - faceva conoscere
il Traité d'économie nucleaire: le soulevement de la jeunesse, sostanzialmente
il primo di una serie di manifesti (la raccolta completa, fino all'ultimo, del 1956, sarà pubblicata a
Parigi solo nel 1967) che Isou consacrava alla ribellione giovanile. L'anno
successivo Lemaître avrebbe fondato una rivista, "Front de la
jeunesse", ispirata dal maestro, anonimo estensore dell'editoriale. L'idea di una pressione giovanile
paragonabile a quella delle masse non era senz'altro nuova. Le sue molteplici ragioni
trascendevano i dati puri e semplici del mutamento sociale - basti pensare che
nel settecento un Haydn alla soglia dei diciott'anni cantava ancora in un coro
di voci bianche mentre le ragazze scoprivano le prime mestruazioni mediamente
dopo i sedici - e avevano portato a
forme di raggruppamento diverse da quelle ampiamente ritualizzate della
tradizione. La consapevolezza del fenomeno da parte della società si era
riversata in una serie di associazioni
sussidiarie alle organizzazioni del mondo adulto, sia come loro diretta
emanazione che come non sempre ben specificate palestre di morale, educazione
civica e salute. Almeno in un caso, quello dei wandervogel tedeschi di inizio
secolo, il gruppo spontaneo e solidale di giovani si tradusse in un movimento
più ampio, paragonabile alle strutture maggiori, quando in genere restava legato a compiti e a simbologie
territoriali. Spregiudicato, a tratti
enfatico, comunque costante, era stato il richiamo alla giovinezza da parte
delle avanguardie artistiche. La peculiarità del discorso di Isou consisteva
nell'averla assimilata al centro nevralgico della propria elaborazione
teorica. Vale però forse la pena di
ricordare che proprio in Francia, negli anni trenta, Bertrand de Jouvenel,
figliastro e qualcos'altro di Colette, andava pubblicando una rivista che
appellandosi "a tutti i giovani, soltanto loro" si chiamava
inequivocabilmente "La lutte des jeunes". All'inizio del decennio c'era stato perfino un momento in cui si
era profilata l'eventualità di un
fronte comune di tutti i movimenti giovanili.
L'appuntamento non sfuggì alla "NRF" la quale, tramite Jean
Paulhan, commissionò a Denis de Rougemont (autore poco prima del saggio Cause
Commune) un fascicolo speciale sui giovani denominato "quaderno delle
rivendicazioni". Vi collaborarono scrittori di diversa estrazione, da
Robert Aron a Paul Nizan, da Thierry Maulnier ad Henri Lefebvre. Detto questo non si vuol togliere niente
ad Isou. C'è piuttosto la tendenza,
emersa soprattutto in anni recenti, a interpretare i suoi lavori in proposito
come una significativa anticipazione di molta assai più tardiva ricerca
sociologica in materia. In ciò c'è del
vero - e la propensione a pedanti tassonomie comune a tutti i suoi scritti
teorici in un certo qual modo lo sottolinea - benché se ne esageri
l'originalità. Isou intendeva la
gioventù come la condizione degli esclusi dai grandi circuiti
dell'appropriazione che cercano forme nuove, e spesso futili, di risarcimento -
il che ricorda molto da vicino la ricerca sull'anomia - sviluppata negli stessi
anni e dopo, ma cominciata prima della guerra - di Robert K. Merton (per non
dire degli svariati frammenti rinvenibili risalendo giù fino a Veblen, a Durkheim e anche a Marx).
A nostro modo di vedere, nel contesto sociologizzante degli scritti di
Isou, immersi per giunta nel bagno economicista che ne doveva garantire
probabilmente la plausibilità, l'elemento di fatto più attraente resta quello
legato ai sopravvissuti toni volontaristici, dunque all'insorgenza. richiamata
dai titoli. In nome della gioventù, nel
clima da resa dei conti che c'era in Francia, i lettristi chiedevano di
"liberare i giovani miliziani dalle prigioni". "Noi abbiamo fatto la
resistenza", diceva l'articolo d'un loro foglio, "abbiamo lottato per
le identiche assurdità dei nostri nemici, i giovani miliziani. Aprite le
prigioni ai nostri fratelli. Uniamoci ...viva la giovinezza!". Era una chiara dimostrazione di coraggio, a
maggior ragione se si pensa all'origine ebraica dei capi. Fra alcuni dei
giovani approdati al lettrismo, le esortazioni di Isou alla
"sollevazione" sembreranno tuttavia, sulla base di quanto si andava
pubblicando, più affini a quella che si sarebbe detta una "politica
riformista" (tipo riforme scolastiche, educazione sessuale, ecc.) che a
una vera e propria rivolta. Prima
ancora di assaporare i succosi frutti della devozione, il Messia del lettrismo
doveva fare i conti con discordie e situazioni che rischiavano di sfuggirgli di
mano. E' il caso del famoso
"scandalo di Notre Dame". Un giovane cattolico in crisi, poi
rientrato nei ranghi, si alzò, vestito da domenicano, sul pulpito della cattedrale a proclamare la morte di dio,
accusando la chiesa cattolica di "infettare il mondo con la sua morale
mortuaria". L'azione, prontamente
sostenuta dai surrealisti, era stata combinata insieme ad alcuni giovani
lettristi, soprattutto Serge Berna, Jean-Louis Brau, Claude Matricon e Ghislain
de Marbaix, ma era stata seguita anche
da Pomerand e da Marc'O (prossimo direttore di Ion, la rivista cinematografica
dei lettristi, nonché produttore del film di Isou) i quali, con senso più
dell'opportunità che dello scandalo, si sarebbero prudentemente eclissati.
Qualche tempo prima, Brau e Matricon avevano conosciuto un giovane comunista,
saltuario collaboratore di "Combat", Joseph, meglio conosciuto come
Gil Wolman, il quale si era avvicinato ai lettristi nel corso di un recital di
Francois Dufrêne. Insieme si erano dati a pubblicare l'unico numero di una
rivista, "Transit". Nel 1951,
Guy Debord, giovane liceale a Cannes, assisteva alle polemiche sorte in seguito
alla presentazione forzata, nell'ambito del festival cinematogtrafico, del
Traité de bave et d'eternité di Isou. L'anno successivo, trasferitosi ormai a
Parigi, tornerà a Cannes per un'altra "spedizione" al festival
dettata dall'esclusione de L'anticoncept
di Wolman. In giugno veniva presentato, in una sala parigina, Hurlements
en faveur de Sade, la lunga banda nera e bianca che è il primo film di Debord,
il quale si alzava dicendo, "il cinema è finito, passiamo al
dibattito". Una seconda proiezione si terrà in ottobre presso un cine-club
diretto da Eric Rohmer. Le reazioni dei cinefili a queste operazioni sono
prevedibili. Naturalmente vi partecipava anche Isou, ma qualcosa era cambiato.
Dufrêne e Marc'O resero indipendente un movimento che si rifaceva al
"Soulevement de la jeunesse".
Per parte loro Debord, Berna, Brau e Wolman (a quanto pare furono gli
ultimi due gli ispiratori) davano vita
a una tendenza, che si chiamerà Internationale lettriste, allo scopo di ridurre
l'influenza isouiana. La rottura avverrà da lì a poco, quando, in occasione
della visita di Charlie Chaplin a Parigi, i giovani dissidenti distribuivano un
volantino oltraggioso nei confronti
dell'attore. Isou, Lemaître e Pomerand
si dissociavano pubblicamente inviando un comunicato a
"Combat". Avevano sempre
sostenuto la necessità di estendere gli scandali, quali che fossero le
motivazioni. L'ultima generazione di
lettristi li aveva presi alla lettera.
Sarà a questo punto Isou ad essere "espulso"
dall'Internazionale lettriste come "individuo moralmente retrogrado"
e, il che raggiunge veramente il colmo del sarcasmo, dalle "ambizioni
limitate". Eliane Papai, moglie di
Brau, in un libro pubblicato nel 1968, ricorderà così quel periodo: "La
vita dell'Internationale lettriste non si può dissociare dal quartiere di Saint
Germain. I suoi membri avevano installato il quartier generale da Moineau, un
infame pertugio della rue du Four, dove sarebbero stati raggiunti dai giovani rivoluzionari
che non erano prima stati lettristi. La droga, l'alcool, le minorenni, facevano
parte del folclore del gruppo".
In un'inchiesta sui giovani pubblicata da
Françoise Giroud qualche anno dopo, che darà anche il nome a un gruppo di
speranze del cinema francese, la nouvelle vague, non c'erano tracce di tutto il
gran daffare di Isou intorno a loro. Nell'indagine compiuta dall'Institut
français d'opinion publique nel 1957 su un campione di 15.000 giovani, non c'è
nessuno che indichi Isou fra gli scrittori che hanno "lasciato l'impronta
più forte". Su tutti, fra l'altro, vinceva ancora Sartre con una
percentuale del 20% (Camus era al 4, Aragon al 2). Di fatto, la situazione non
era molto diversa sul terreno più propriamente artistico e letterario. Sebbene
il lettrismo, in specie Isou, fosse una realtà in larga misura acquisita, il
suo dominio più appropriato sembrava quello delle eccentricità, significative
fin che si vuole, ma alla fine estranee a quel discorso sulla "grande
arte" che non ha smesso mai di riprodurre i suoi arcigni professori e le
loro spesso dubbie valutazioni. Né a lungo valsero a sovvertire la situazione
(per altro poco chiara anche oggi) le personali testimonianze di svariati
artisti riconducibili a quel novero - Ben, Alain Resnais, Yves Klein e altri -
a sostegno di un ascendente apertamente riconosciuto e lontano dagli inutili
sentimentalismi. Il solo vero libro di riferimento sulla stagione fondativa e
classica del movimento di Isou è stato per un tempo infinito (e resta ancor oggi
per vari aspetti insuperato) un libro del 1962 (un suo condensato lo pubblicò
più tardi in Italia il "Marcatré") scritto da un lettrista
dissidente, propugnatore dello schematisme, Robert Estivals: L'avant-garde
culturelle parisienne depuis 1945 (Guy Le Prat editeur). Ma su un'altra
funzione del lettrismo - quella legata ai pungoli personali se non a quelli
generazionali, alla metamorfizzazione degli abiti mentali e a un più generale
disegno di critica delle idee ricevute - le testimonianze non lasciano dubbi.
Di Eliane Papai abbiamo detto. A Jean-Louis Brau si deve invece un'interessante
(ma per niente apprezzata da Debord) "storia dei movimenti rivoluzionari
studenteschi europei", Cours, Camarade, le vieux monde est derrière toi!
(Albin Michel, 1968) che si diffonde sul lettrismo come una delle fonti della
rivolta moderna. Brau, comunista, figlio di un sindaco comunista, figlioccio di
Charles Tillon (burocrate e stretto compagno d'armi di André Marty, uno dei
massacratori degli anarchici in Spagna), al pari di quei personaggi
inquadrabili nel "ritratto dell'avventuriero" di Roger Stephane,
aveva tentato giovanissimo di entrare nella Legione straniera e, sempre
attratto dalle avventure guerresche, riusciva finalmente nel 1954 ad imbarcarsi
per l'Indocina. A quel punto era ovviamente già stato espulso dalla
Internationale lettriste per "deviazione militarista". Ciò nondimeno, il passaggio nel lettrismo e
le pagine consacrategli nel suo saggio, assumono, alla luce di queste
esperienze di vita, un aspetto stringente e veritiero di unicità e momenti
propiziatori. A questo proposito, la
testimonianza forse più vivida è quella un tantino pantagruelica (in fondo una
chiave per leggere quanto c'è di umoristico in queste vicende) rilasciata da
Jean-Luc Mension in una lunga intervista d'un paio d'anni fa all'editore Gerard
Berreby (La tribu). Nello stesso anno del sondaggio di cui
sopra, il 1957, i rappresentanti della Internationale lettriste, insieme a
quelli di altri gruppi convenuti a Cosio d'Arroscia, nella Liguria
interna, davano vita alla
Internationale situationniste. Se
questa è un'altra storia, della storia è anche una continuazione. Non per
niente le personalità maggiormente intrinseche al surrealismo, come è il caso
di Asger Jorn, concederanno al movimento di Isou, a scapito degli stessi gruppi
di provenienza, il profilo del più importante raggruppamento d'avanguardia del
dopoguerra. Per sua parte, l'Internationale lettriste si era già caratterizzata
rispetto alla casa madre - ben oltre l'inclinazione alle scomuniche da tutti
condivisa - attraverso una spiccata ripresa degli impegni surrealisti, dei
quali, a ben guardare, costituirà lo sviluppo coerente. D'altro canto il filone
originale del movimento - fedele a un dettato niente affatto accomodante, seppur interessato a
rivendicare l'affinità con l'avanguardia storica - andrà mostrando negli anni
un'inflessione che le numerose bizzarrie non ci impediranno di definire
dogmatica. I metodi, che nei vecchi raggruppamenti venivano improvvisati in
vista di scopi più o meno immediati, equivarranno fra i lettristi a delle
leggi. "Nous entrerons
dans la carrière...", scriveva Isou, ai suoi esordi. E,
al di là dei risvolti sociologici e di costume, va rimarcato come si sia
trattato di una carriera anzitutto letteraria, rapidamente intrecciata con la
pittura, il cinema, l'art corporel,
nell'intento di costruire - entro l'ambito delle arti e, più in
generale, della conoscenza - un vero e proprio sistema. Ma la percezione, all'esterno del movimento,
di questa tensione globalizzante doveva emergere solo a ridosso degli anni
'60. In una prima fase i pochi esegeti
si soffermavano in prevalenza sulla produzione poetica, magari comparandola
alle glossolalie religiose e ai neologismi degli alienati, come faceva Lydia
Krestovsky nel 1947 su "Esprit".
Enunciata da Estivals nelle pagine di "Grammes", l'idea del
Système d'Isou, doveva divenire oggetto di un lungo scritto di Asger Jorn,
pubblicato sul quarto numero dell' "Internationale
Situationniste". Jorn vi sostiene
che Isou si dibatte in una contraddizione di fondo fra originalità e grandezza,
fra l'importanza del suo apporto personale e quella del sistema che ha
elaborato. E, pur riconoscendo
all'interno di questo un inestricabile viluppo di componenti religiose e artistiche,
lo interpreta come un'ottica, un "qualcosa di estremamente divertente e
nuovo" per l'Europa giacché contemplerebbe la misurazione "di tutti i
valori nella prospettiva cinese, mentre a partire dal Rinascimento sono stati
costantemente misurati nella prospettiva centrale". Ma in verità questo ha più a che fare con la
"posizione" di Isou che non con il suo sistema. E la posizione che Isou scopertamente assume
sin dall'inizio aggira sia l'originalità che la grandezza per puntare,
messianicamente, sull'unicità. "C'est un Nom et non un maître que je veux
être" ... "le Nom des Noms = Isidore Isou". Lasciamo ad altri di occuparsi in maniera
approfondita del "nome" che Isou ha assunto per realizzare sé stesso
e il mondo ("Vi sarà un giorno in cui tutto sarà compiuto, integro e
perfetto. Non è forse Isou l'incarnazione di quest'avvenire?"),
limitandoci a notare come vi s'annidino implicazioni religiose diverse
(letteralmente Isidore significa "dono di Iside", contiene
l'anagramma di Osiride, e secondo l'interpretazione dell'interessato in ebraico
significherebbe Israele, mentre Isou sembra foneticamente molto vicino al nome
del messia dei cristiani). Più
interessante è notare che del modello messianico - già lucidamente indicato da
Estivals come nucleo della demarche isouiana - vengono mantenuti l'annuncio, la
cerchia dei discepoli, il radicamento in una tradizione millenaria mentre
cambia radicalmente lo strumento salvifico: all'atto di fede si sostituisce
l'atto di creazione. Mentre vengono quindi recepite senza
eccezioni le discipline classiche, si determina la necessità di un loro
sovvertimento radicale. L'originalità, la novazione tornano in campo come
attributo (e inveramento) dell'unicità. Non si tratta, beninteso, di una presa
di partito in favore di pratiche istintuali e spontaneiste. Al contrario l'originalità è raggiunta
mediante l'uso di una serie di regole, se non di un metodo vero e proprio. Il
riconoscimento di nuovi domini operativi (quello della lettera, prima di ogni
altro) viene raggiunto impiegando processi di frammentazione (la scomposizione
della parola) che coesistono con altri, improntati invece all'accrescimento
(l'ipergrafia, che associa in un quadro di ordine superiore lettere e immagini
unificando de facto le discipline letterarie e plastiche; il quadro supertemporale che introduce la
dimensione diacronica e la pluralità degli autori all'interno dell'opera) o,
ancora, ad una sorta di trasposizione virtuale (l'esthapeirisme, arte
immaginaria o infinitesimale ove ogni singolo elemento compositivo viene
spogliato del suo senso immediato per evocarne un altro, inesistente). Né va dimenticata la genesi per negazione:
così, ad esempio, alla mecaestetica generalizzata, che prevede la realizzazione
di opere avvalendosi ogni materiale possibile, esistente o no, fa riscontro
l'antimecaestetica in cui viene posto
in atto il detournement del supporto, utilizzato in maniera innaturale o
comunque opposta all'uso invalso. E così ancora alla musica e alla poesia
"sonore" si contrappone l'afonismo, sfera "della recitazione
inudibile o silenziosa". Benché l'apparenza sia di un coacervo
abbastanza confuso, ad un esame più attento l'insieme si rivela coerente e
simmetrico. E se è dubbio che arrivi a coincidere con "la loi à la quelle
obèit Dieu" si presta senz'altro ad integrarsi in un sistema le cui
pretese totalizzanti si fondano da un lato su una classificazione puntuale
(detta kladologia) delle branche dello spirito e della materia, che induce Isou
ad occuparsi volta a volta di economia, di psicopatologia, di fisica, di
matematica, di chimica, di medicina; dall'altro su una trasversale istanza
rigeneratrice. Non solo: ciò che conta maggiormente è che
si tratta - come notava Debord - di un approccio valido per "investigare i meccanismi della
creazione": tratto non da poco, quando si consideri la povertà di molte
correnti contemporanee, ridotte al monotono utilizzo di "une seule gag
artistique essouflée", talvolta attinta almeno in parte (potrebbe essere
il caso della poesia visiva e sonora, del Nouveau Realisme, dello Schematismo,
dell'arte concettuale e via dicendo) proprio dalla strumentazione lettrista. Se la grande teoria resta monopolio di
Isou, la messa a punto di singole branche è affare dei suoi vicari: di Maurice
Lemaître, che definisce nel 1952 il Sistème de Notasion pour les Lètries (ed.
Richard-Masse) e in seguito unifica l'ambito dei mezzi di comunicazione sonori
(iperfonologia) e quello dei mezzi di comunicazione visiva (ipergrafia) nella
ipergrafologia; di Roland Sabatier, che approfondisce in particolare le
tecniche della politanasia, volte a distruggere le forme esistenti dell'arte
"al fine di liberare il corpo lirico da una cancrena irrimediabile e di
lasciar respirare nuove particelle, più complesse o più fini". Ma è soprattutto sul terreno delle opere che
gli artisti del movimento si sono espressi, con una poliedricità che riflette
la dimensione totalizzante del sistema isouiano e che produce, quando ancora
l'idea di intermedialità (che sarà propugnata oltreoceano negli anni '60 da
Dick Higgins) era di là da venire, interessanti forme di ibridazione
disciplinare. Si è già accennato, a questo proposito,
come la prima fase dell'operatività lettrista sia legata principalmente alla
dimensione poetica. In quest'ambito Isou e i suoi primi compagni sperimentano
un primo decisivo depassement: quello della parola. Il materiale che ne emerge,
la lettera, si pone anzitutto come entità sonora. In questo forse - al di là
della genealogia letteraria che dall'epopea omerica, per successivi raffinamenti,
approda a Mallarmé e Rimbaud, cui viene riconosciuto il merito di aver spezzato
le pastoie del verso - è possibile intravedere ancora un portato della
tradizione ebraica che coniuga aniconismo e primato della dimensione verbale. E sulla poesia fonetica i lettristi
convergono attraverso una serie di recitals (cui si accenna nel resoconto di
Romani riportato più sopra) ove emerge la figura di Gabriel Pomerand che non solo propone al Tabou le prime composizioni
di Isou, come Lances rompues pour la dame gothique o Swing, ma presenta alla
Salle Rochefort, nel 1946, la propria Symphonie en K, in cui espressione lirica
e musicale si fondono in una "chorale ciselante", incentrata
sull'articolazione arbitraria della lettera che le fornisce il titolo. Altri
contributi fondamentali verranno proposti negli anni seguenti da personaggi ai
margini dell'ortodossia lettrista: da Gil J. Wolman, nel 1951, con la
megapneumia, tecnica del "grande soffio" in cui vengono dissolte le
consonanti; da François Dufrêne, nel 1953, con i cri-rythmes, suscitati da una
reazione all'asserto di Artaud secondo cui in Francia non si sarebbe saputo più
gridare. Più tardi, negli anni '70, Jean-Paul Curtay, seguendo la traccia,
integrata con gli apporti dell'art corporel, di un suono non più affidato alla
vocalità, proporrà la forma estrema della Body Music. Benché le prime manifestazioni dedicate
alla pittura lettrista presso la Librairie de la Porte Latine rimontino al 1946
è solo all'inizio del decennio seguente che si compie, in questo dominio, un
decisivo passo in avanti, con l'apertura alla totalità dei segni alfabetici,
matematici, tecnici e d'invenzione e il conseguente approdo alla metagrafia (in
seguito ribattezzata ipergrafia), propiziato - una volta ancora - dalla mediazione
letteraria. Il procedimento è infatti utilizzato da Isou in quell'anno nel
prototipo del nuovo romanzo in cui la sequenza narrativa è stravolta
dall'introduzione di elementi visivi: Les journaux des dieux, cui fanno seguito
Saint ghetto des préts, di Pomerand, già citato, e Canailles, di Lemaître. Il primo organico ciclo metagrafico, Les
nombres, viene infatti esposto da Isou nel 1953 alla Galerie Palmes di
Parigi. E si tratta, in realtà, della
trasposizione di una serie di trentasei "stanze" in rima baciata sul
tema dell'utilizzo dei numeri in pittura e poesia: un risultato già in qualche
modo definitivo, ma che altri arricchiranno nel tempo di innumerevoli varianti:
Lemaître in direzione più marcatamente plastica, Minola con un raffinato
calligrafismo, Sabatier attraverso una sorta di iperdeterminazione decorativa,
Satié con una sintesi originale fra lettera e astrattismo geometrizzante,
Curtay con lavori sulla prospettiva, Poyet mediante una scansione ritmica
fondata sulla "ripetizione differente" dei segni grafici, Dupont con
la sovrapposizione delle scritture. Il cinema rappresenta il terzo grande
ambito in cui si esercita l'innovazione lettrista. E' ancora Isou ad inaugurarlo, nel 1951, con il Traité de bave et
d'eternité, in cui Stan Brackhage identifica "non un film 'mito' ma un
film 'colonna vertebrale' ". Isou
utilizza scarti di pellicola del Servizio cinematografico dell'esercito e
immagini volontariamente degradate, separa la banda sonora dall'immagine
(realizzando il c.d. montaggio discrepante), rinnega la stessa nozione di
sequenza. Lo segue in quello stesso anno Lemaître, con un autentico capolavoro,
Le film est dejà commencé?, definito dall'autore séance de cinema, in cui
l'opera diviene totale, coinvolgendo il supporto della proiezione (un pallone
sospeso), l'ambiente e il pubblico, stimolato a partecipare attivamente. Vi si
affacciano quei fotogrammi (forme circolari in campo scuro; spezzoni
interamente neri e bianchi) che, isolati, formeranno il tema visivo azzerante
de L'Anticoncept di Wolman e, soprattutto, di Hurlements en faveur de Sade,
l'opera in cui Guy Debord inizia a praticare la tecnica del detournement su cui
- unitamente alla derive di ascendenza surrealista - s'impernierà l'esperienza
dell'I.L. In seguito il cinema si
rivelerà uno dei territori più idonei alla creazione infinitesimale, coltivata
in particolare, oltre che da Lemaître, da Roland Sabatier in lavori senza
pellicola e schermo, a durata infinita ecc..
Sarà, infine, il bacino di coltura di una generazione lettrista che -
venuta alla ribalta fra gli anni '70 e '80, attraverso le figure di Pierre
Jouvet, Frederique Devaux e Michel Amarger -
si dimostrerà capace di recare nuovi apporti al movimento. L'ampiezza degli interessi del gruppo
rende pressochè impossibile darne un resoconto esauriente. Occorrerebbe dire
ancora, fra l'altro, dell'impegno nel teatro, nell'architettura, nella
fotografia, nella performance e - perché no? - nella polemica culturale. Ma, seguendo una pratica avviata dallo
stesso Isou addirittura nel 1947, è tempo di abbozzarne un bilancio. Cosa ne è
oggi del lettrismo? Sorto più di cinquant'anni fa, non ha ancora rinunciato a
tenersi aggrappato a quell'evento ampiamente incompreso, zeppo di mistero, che a volte, con ingiustificata superbia, chiamiamo
vita. Dunque, semplicemente, il lettrismo "è". Ed è per giunta il più
longevo di tutti i raggruppamenti d'avanguardia, benché non manchino gli
assertori di un preteso "movimento surrealista", il quale - legato
oltretutto a traffici accademici e a professori d'università, magari in buona fede e dotati perfino d'un adeguato
pedigree - sarebbe eventualmente neonato più che sopravvissuto. In ogni caso la
continuità senza sbavature esibita dai lettristi rimane davvero impareggiabile.
Stabilire invece cosa ne sia delle tante ed entusiastiche promesse di
espansione creativa che hanno continuato a caratterizzare il movimento è più
difficile e, forse, anche superfluo. Naturalmente, gioverebbe conoscere come e
quanto esse siano state effettivamente credute, anche se l'impostazione dei
lettristi lascia poche speranze a quanti vogliano pensare ad un mero assegnamento metaforico. Per dirla
tutta, sulla base delle promesse c'è poco da constatare. Tuttavia, anche se
fosse niente - cosa probabilmente vicina alla realtà - il lettrismo è comunque
stato tutt'altro che avaro di opere e, quello che è più importante, non meno
intriganti (talvolta, anche per l'inusualità dell'approccio, decisamente di
più) di tutte quelle altre che negli ambienti dell'arte hanno ottenuto
reputazione. Suppergiù da un ventennio, la sua presenza
nelle mostre di alto profilo, al cui indirizzo in qualche misura lo si possa
assimilare, è diventata naturale. Una comoda data onde far cominciare tali
fortune, che comprendono la Biennale veneziana del 1993, la si può fissare con la mostra Paris-Paris
del 1981 al Centre Pompidou. In quell'occasione ai "commissari" (è
questo il nome attribuito ai curatori delle mostre) sarà magari sfuggito che
l'inserimento del lettrismo, a quel punto inevitabile, in un così prestigioso
concilio avrebbe di fatto allargato la vecchia nozione di école de Paris,
tracotante e pervasa di grandeur.
Ma piaccia o non piaccia è ormai così. Fa però un certa impressione
riscontrare che i lettristi, quasi si trattasse di un gruppetto agli inizi,
continuino a fare affidamento esclusivamente sulle proprie forze per spargere i brandelli della loro
sapienza. E' del resto ragionevole pensare che, concependo soltanto tempi
messianici, possano in effetti credere di stare ancora partecipando ad una fase
aurorale. Ipotizzare inoltre che la loro ostinazione possa derivare da una
comprensibile diffidenza nei confronti dei commentatori è altrettanto
ragionevole. Le ricostruzioni ancora di recente proposte, in particolare da
Roland Sabatier e Frederique Devaux (quest'ultima nel settore cinematografico)
con il rigore della loro ortodossia finiscono con l'impoverire la portata del
movimento. Eppure, la presenza del lettrismo come protagonista delle arti si è
accompagnata, in questo ventennio, ad una superiore, decisa e pertinente
considerazione del fenomeno culturale che rappresenta e, ancor più, che ha
rappresentato. La stessa morte di
Debord, nel 1994, ha riversato sul suo antico gruppo d'appartenenza molta
dell'attenzione di quegli ambienti che a lungo gliela avevano negata. Artisti e scrittori nati dopo il 1960,
perciò estranei alle temperie addensate attorno al 1968, quando una certa
agitazione raggiungeva il culmine e ancora spandeva freschezza, hanno
cominciato a scriverne, comunque li si giudichi, perlomeno con cognizione di causa: pensiamo a Stewart Home.
Taluni saggisti e giornalisti più vecchi hanno viceversa pubblicamente
confessato la loro ignoranza e si sono variamente dati da fare per porvi
rimedio. E' il caso di Greil Marcus il quale, con il suo Tracce di rosssetto
del 1989 (Leonardo, per l'edizione italiana), in uno stile un po' "new
journalism" e un po' "Planéte" (una delle bestie nere dei
situazionisti), ha portato la materia al cospetto di un pubblico
indifferenziato e curioso - quantunque l'impianto, per così dire,
"complottistico", possa risultare alla fine fuorviante. Ultima
lodevole iniziativa, all'atto di scrivere, è stata la collocazione del
lettrismo nell'ambito delle "scienze anomale", genere al quale Isou
ha fornito esempi in abbondanza. Ciò è avvenuto nel contesto di un'opera
enciclopedica, Forse Queneau (da un calembour di Giulia Niccolai) curata da due
studiosi italiani, Albani e della Bella,
che si sono guadagnati la
partecipata introduzione di un filosofo professionista come Paolo Rossi.
Naturalmente, un serio episodio della storia recente della cultura quale è il
lettrismo, deve qui dividere il proscenio con ameni svaghi di natura
patafisica, e con la Patafisica stessa. Per fortuna non mancano personaggi che,
seppur lontanamente, si possono imparentare agli enormi sforzi di Isou per
appressare "i principi primi", si pensi a Giulio Ser-Giacomi. In
definitiva si deve a persone come loro la riaffermazione di una elementare
considerazione: chiunque pensa è un filosofo. Non solo. Contro il costume
invalso nel mondo accademico di giudicare la filosofia, allo stato delle cose,
unicamente sulla base di una storia specialistica, per cui certi aspetti
particolari e tecnici, come l'ermeneutica, sono portati ad invadere tutto il
pensiero, personaggi come Isou si innalzano a rivendicare la pregnanza di ciò
che ci assilla. (2000) >>> TORNA ALLA PAGINA
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