Martino Oberto, Anna Oberto, Gabriele
Stocchi con Ezra Pound al rientro in Italia (Genova, Ponte dei Mille, 7.7.1958) MARTINO OBERTO di Sandro Ricaldone E' nell'immediato dopoguerra che Martino
Oberto si affaccia sulla scena genovese con i primi saggi filosofico-letterari
("Discorso agli spiriti liberi"; "Discorso agli uomini
pari", 1945) pubblicati su fogli politici giovanili. Sono gli anni in cui la cultura cittadina
trova i suoi poli in gallerie come l'Isola, dove esordiscono Scanavino e
Borella, ed in riviste come "La voce degli intellettuali" (in cui
compaiono le firme di Umberto Silva, Adelchi Baratono, Francesco Della Corte) o
"Zodiaco" diretta da Ubaldo Gargani, che fra i collaboratori conta
artisti come Cherchi, Fieschi e Mesciulam. In quel tempo Oberto vive a Pegli
dove "nottambulo e festaiolo, libero e indipendente, spontaneamente
anarchico", secondo la descrizione di Ugo Carrega, acquista "fama di
giovane stravagante perché veste quasi sempre di nero". Sin da allora il suo impegno si divideva
equamente tra filosofia, pittura e indagine letteraria. Legge testi futuristi,
raccolti dal padre di Gabriele Stocchi. Legge Pound,
Joyce, Cummings. Si accosta al
Lettrismo. Su un grosso quaderno grigio compone nel 1948 una "Teoria del
valore" tuttora inedita, saggio di estetica filosofica nutrito di
suggestioni che dagli antichi si estendono sino a Nietzsche. Decisivo è
l'incontro, attorno al 1953, con l'opera di Wittgenstein, nel cui
"Tractatus logico-philosophicus", riconosce - al di là dell'impianto
assiomatico - l'esistenza di molteplici "sfrangiature poetiche",
consonanti con la sua ambizione di realizzare un'"ars philosophica".
Nel 1955, giocando con la pluralità di senso dell'omofona preposizione greca
(che vale: sopra, per, durante, contro, in proporzione) nonché con le funzioni
privativa (da cui, appunto, an/archia) ed intensiva della vocale alfa, conia il
termine "ana", una sorta di jolly, come lui stesso dice, sotto la cui
sigla porrà tutta la sua produzione (dall'"anaphilosophia"
all'"ana art", arte scritta, all'"anartattack", immagine
della scrittura). Nel frattempo accosta le punte avanzate
della ricerca pittorica: è con il gruppo genovese del MAC (Allosia, Mesciulam,
Bisio, Fasce, Pecciarini) alla Galleria B24 di Milano nel 1953; lo troviamo poi
con gli Spazialisti nel 1956 alla San Matteo di Genova. La sua astrazione si
distacca però dagli schemi geometrici dei primi e dall'intento dei secondi di
ampliare lo spazio figurativo attraverso l'impiego di nuovi strumenti
espressivi. Nonostante l'interesse suscitato in Lucio Fontana dagli esperimenti
compiuti tracciando semplici forme con il colore direttamente spremuto dal
tubetto sulla tela ("colortubetto", 1955), Oberto punta soprattutto a
misurarsi con l'"Ineluttabile modalità del visibile" (è il titolo
d'un quadro del 1959 ispirato ad un brano dell'Ulisse joyciano) a leggere
"le segnature di tutte le cose" attraverso segni colorati portati al
"limite del diafano", paradossalmente, attraverso una sovrapposizione
di stesure che li rende indecifrabili. Intanto realizza con Gabriele Stocchi (nel
1955) un film di montaggio su Ezra Pound, con il quale, dopo la liberazione
dall'internamento psichiatrico ed il rientro in Italia, instaurerà un fecondo
rapporto. Per un lungo periodo l'attività di Oberto - che ha preso a firmarsi
OM e si va sempre più affermando anche nel restauro di celebri dipinti -
s'incentra su "Ana etcetera", la rivista creata con Stocchi e Anna
Oberto e diretta con quest'ultima per tutta la sua durata (1958/70). Nel
ristretto laboratorio formatosi attorno alla rivista (che, attraverso una
struttura a più livelli, dislocati in autonomi fascicoli, raccoglie e mette in
circolazione materiali concernenti filosofia e linguaggio) si mettono a fuoco
le basi teoriche ed operative di una delle tendenze più incisive degli anni
'60: la poesia (o scrittura) visuale. Corrado D'Ottavi ne offre, nel 1960,
ispirandosi all' obertiano "Uno specifico letterario (e filmico)",
testo di poetica realizzato con un "lavoro più che altro di forbici e di
colla", uno dei prototipi, con il montaggio "Domani pomeriggio verrà
il Sacerdote e benedire". Ugo Carrega le fornisce dimensione pragmatica
con la proposta d'una "scrittura simbiotica" bandita nei quaderni di
"Tool" (1965/67), nuova rivista creata con Rodolfo Vitone e Lino
Matti. Con i membri del Gruppo di Studio, che animano la Galleria La Carabaga e
la rivista "Trerosso" (1965/66), anch'essi attivi nell'ambito della
poesia visuale anche se in forme centrate più sull'impatto dell'immagine che su
un'articolazione grafico-linguistica, è spesso polemica, ancora di recente
rinverdita. Negli anni '70 s'intensifica l'attività
espositiva, nel cui ambito spiccano le rassegne dedicate da Luigi Ballerini
alla scrittura visuale italiana al Finch College di New York ed alla Galleria
d'Arte Moderna di Torino (1973) e la personale "Ana art" del 1974 che
segna l'apertura della galleria milanese "Il mercato del sale". Nel
decennio successivo Oberto si trasferisce a New York. Qui incontra Peter
Carravetta, che fa de l'"Inettuttabile modalità del visibile"
l'immagine stabile di copertina della sua rivista di studi italiani,
"Differentia", ed intraprende la traduzione in lingua inglese dei
suoi testi anafilosofici, pubblicata da Campanotto nel 1993. Da ultimo, tornato
in Liguria, OM avvia un nuovo lavoro (presentato da Caterina Gualco nel 1992
nella mostra "Anartattack" e sviluppato sino agli odierni
"Aforismi di vita spensierata") trasformando la scrittura in
immagine-groviglio, traccia al limite dell'astrazione; sopprimendone gli usuali
svolgimenti comunicativi per situarci, sottilmente, di fronte all'impensato. (1997) OM FACIT SALTUS "bottezzo ergo soom" 1968 >>> TORNA ALLA PAGINA
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