RAYMOND HAINS OU L’ÉCLATEMENT DE LA RÉALITÉ
di
Sandro Ricaldone
Raymond Hains e Jacques Villeglé, Ach Alma Manetro, 1949
Quando Raymond Hains arriva a Parigi dalla
Bretagna, nell’ottobre 1945, è un giovane di vent’anni, con alle spalle un
regolare ciclo di studi liceali e un anno d’accademia, a Rennes, dove ha
praticato la scultura. A spingerlo nella capitale francese è l’interesse per la
fotografia, che coltiva ritraendo le rovine belliche: facciate superstiti che
si ergono in mezzo al nulla, mura sbriciolate, fondamenta spoglie. Va a cercare
Emmanuel Sougez, autore dell’immagine riportata sulla copertina del volume La
photographie française 1839-1936, intravista l’anno precedente a Laval, un
fotomontaggio in cui campeggiano una schiera di obiettivi che incorniciano
occhi rivolti allo spettatore. L’incontro con l’eminenza grigia della
photographie pure permette al giovane Raymond di lavorare per qualche tempo nel
servizio fotografico della rivista France-Illustration e gli fornisce stimoli
per alcuni fra i suoi primi lavori,
imperniati sulla moltiplicazione del motivo, come si può riscontrare in
due opere del 1947, Composition aux
miroirs e La main multiplié par un
jeux de miroir. Quest’ultima, in seguito, verrà scelta per illustrare La vie secrète de Salvador Dalì,
offrendo ad Hains l’occasione di una polemica a distanza con l’autore catalano,
riflessa in una lettera aperta pubblicata su “Combat” nel maggio 1955, con un
titolo (Flagrant Dalì) che
distorcendo l’espressione flagrant délit,
rivela – ancorché l’ideatore fosse stato François Dufrêne – la propensione dell’artista
per il calembour. In breve, però, le
prove di Hains attingono uno sperimentalismo più spinto. Grazie all’utilizzo di
vetri scanalati reperiti nel laboratorio del padre – che, posti davanti
all’obiettivo, deformano l’immagine sino a renderla irriconoscibile,
inquadrandola in una compatta griglia lineare - approda ad una fotografia
spogliata dei suoi tratti mimetici, prossima all’astrazione e rivelatrice di
una realtà differente. I lavori realizzati con questa tecnica, che progetta di
sistematizzare attraverso la costruzione di un’apposita apparecchiatura
denominata hypnagogoscope (1),
vengono esposti nel giugno 1948 nella galleria parigina di Colette Allendy (2),
vedova del celebre psicanalista (3) che, fra gli altri, aveva in cura Antonin
Artaud e gli varranno in seguito l’appellativo di “Raymond l’abstrait”
attribuitogli, si dice, da Guy Debord.> Nel suo resoconto su Combat, Charles
Estienne, uno dei maggiori critici dell’epoca, annota: «Le fotografie di Hains
cercano di incitarci al sogno e, attraverso la luce materiale, di rendere la
luce interiore» (4), mentre Pierre Descargues commenta su Arts: «Hains compone
le sue tavole secondo ritmi ripetuti. Giocando volta a volta su elementi umani
o con linee luminose, va da un’opera di spirito surrealista ad un’esecuzione
astratta» (5).
Il titolo della mostra, Obsessions, déformations et abstractions en
vue de cinéma apre una finestra verso l’esperienza cinematografica,
affrontata da Hains in collaborazione con l’amico Jacques Villeglé, che aveva
incontrato a Rennes nel 1945. Per quattro anni, dal 1950 al 1954, i due si
cimenteranno con la realizzazione di un film astratto, che proprio per la sua
interminabilità verrà chiamato Penelope (6).
Intanto l’applicazione deformante dei
verres cannelés al testo scritto - approfondita nuovamente con Villeglé –
dischiude un nuovo campo di ricerca, segnato dal passaggio «dal leggibile
all’illeggibile», al confine fra «la lettre et le néant» (7). I due giovani
artisti sottopongono al procedimento ipnagogico un breve testo fonetico di
Camille Bryen, poeta e pittore surrealista indipendente, che Hains aveva
conosciuto nel luglio 1948 alla Galerie Allendy, in occasione della collettiva
Tapisseries et broderies abstraites(8), in cui l’artista nantese esponeva la sua Broderie du feu (9), un frammento di
tenda bruciata nell’incendio della sua stanza. Ne scaturisce un volumetto,
Hépérile éclatè, che dopo lunga gestazione vedrà la luce nel 1953, per i tipi
della Librairie Lutétia. Bryen licenzia questo «premier poème à dé-lire» (10)
con un pizzico di retorica: «oggi, grazie a raymond hains e a jacques de la
villeglé, i due cristoforo colombo delle “ultra-lettere”, ecco il primo libro
felicemente illeggibile. (…) Hépérile
éclaté, nuovo grado poetico, fa riapparire il non-umano (11) inesplicabile
attraverso il macchinismo superato» (12).
Più ancora dell’accostamento al Lettrismo (13)
e delle suggestioni di Artaud e di Francis Ponge (14), il rapporto con Bryen si
manifesta ricco di stimoli, che si esplicano anche in direzioni diverse dal fonetismo
e dal lavoro sul segno alfabetico. Oltre all’ascendente che può aver esercitato
la scoperta della già ricordata Broderie
du feu, per la sua conformazione di frammento carpito ad una quotidianità
deteriorata, nella postfazione alla Anthologie
de la poésie naturelle (15), apparsa nel 1949, possiamo infatti leggere: «I
manifesti strappati nella strada (16), le canzoni dei sobborghi le cui parole
dimenticate producono una strana melopea, le pitture idiote, i poeti che non
hanno sacrificato né alle esigenze temporanee della lingua né alla sua
ortografia puerile, i discorsi infantili, i giochi del medium, i vetri spezzati
secondo strutture bizzarre, ecco alcuni dei veicoli che ci conducono ai
territori della poesia naturale” (17).
Ciò che per Bryen era “un’accezione della
poesia nuda e primaria”, che doveva essere “fatta non solamente da tutti (18),
ma soprattutto da TUTTO” (19), per Hains diviene approccio concreto. “Hains,
fotografo e cineasta - riporta Alain Jouffroy - percorreva in lungo e in largo
le strade della città, quando un giorno, alla fine del 1949, guardando un
manifesto strappato su una palizzata in fondo a rue de Rennes, nell’area del
Supermag, provò quello che i buddisti zen definirebbero il satori: l’occhio
strappato di una donna lasciava intravedere le lettere del manifesto
sottostante (20). Hains staccò il manifesto (21) e ne parlò subito con
Villeglé, che allora si trovava a Nantes – sempre Nantes, la città di Vaché e
di Péret – il quale, immediatamente, perviene alla stessa conclusione dell’amico,
nel medesimo spirito di derisione della pittura – quella pittura astratta o
semi-figurativa che si faceva allora e che, bisogna dirlo, non apportava
granché alle scoperte dei pittori dell’anteguerra» (22).
Wols, nel 1938-39, aveva già fotografato
muri e palizzate coperte di manifesti lacerati (23), mentre nell’Anthologie de la poèsie naturelle erano
state incluse alcune foto di Brassaï che ritraevano muri sbreccati o coperti di
graffiti, ma il gesto di Hains, assumendo direttamente un brano di realtà
urbana, rivestiva un significato più profondo e sconcertante. Conseguenza
repentina della scoperta è la realizzazione a quattro mani, da parte di Hains e
Villeglé, di un’opera di due metri e sessanta centimetri di lunghezza, una
sorta di Tapisserie de Bayeux (24) in scala ridotta: Ach alma manetro (1949), un assemblaggio nel quale, ancora una
volta, si dispiega un testo illeggibile, composto di parole e di lettere
frammentate. In seguito l’utilizzo del manifesto strappato come “materia
pittorica”, secondo un criterio in linea di principio non troppo dissimile,
anche se portato ad un’evidenza nuova e ad un livello d’intensità esasperato,
dal collage cubista e dada, si radicalizza attraverso una presentazione telle
quelle, così che «laddove i loro predecessori mostravano quadri costituiti da
frammenti di realtà, è la realtà stessa che (Hains e Villeglé, n.d.r.) elevano,
per parte loro, al rango di quadro, è il mondo stesso che invitano a guardare
come un dipinto» (25). «Vale a dire – chiosa Villeglé – (il mondo) quale ci
appare, quale, nella sua inaccessibilità, l’immaginiamo» (26). Ed è per
differenziarsi, in quest’ottica, dalle concezioni pittoriche antecedenti che
Hains, con l’ennesimo calembour, battezzerà nel 1958 un suo lavoro Décollage pour le Cinquantenaire de
l’Aeronautique (27), reintroducendo un termine destinato da allora ad
entrare stabilmente nel lessico delle arti.
La prima esposizione delle affiches
lacerées di Raymond Hains e Jacques Villeglé ha luogo a distanza di più di
sette anni, nel maggio 1957, ancora nella galleria Allendy, sotto il titolo Loi
du 29 juillet 1881 (28). «Colette Allendy era delusa perché non avevo esposto
la palizzata, ma non avrei saputo dove metterla – ricorda Hains – salvo forse
nel piccolo giardino all’entrata della galleria. Villeglé, dal canto suo, aveva
presentato dei manifesti su due tavole che trovavo piuttosto interessanti» (29).
Gli eventi prendono allora un corso più
rapido. Nel 1958, sul secondo numero di Grammes, revue du Groupe
Ultra-Lettriste, Villeglé pubblica il primo testo teorico dedicato al
décollage: Des Réalités collectives. Vi annota, fra l’altro: «Ai collages nati
dal gioco di una pluralità di attitudini possibili, i manifesti lacerati,
manifestazione spontanea, oppongono la vivacità immediata che ci rivelano da
dieci anni. Accusando il colpo, siamo partiti alla raccolta. Alla raccolta di
questi oggetti “altri”. Preservandoli da qualunque apporto impuro» (30). L’anno
seguente nello studio di Dufrêne in rue Vercingetorix va in scena in giugno Laceré anonyme, che sancisce l’ingresso
in campo, a fianco dei due ravisseurs di manifesti già consacrati, dell’ex
lettrista e leader del Soulevement de la Jeunesse, con i dessous d’affiches
scoperti con Hains negli Entrepôts Bompaire.
Il 2 ottobre 1959 André Malraux inaugura al
Musée d’Art Moderne la prima Biennale di Parigi. Ad invitare il gruppo degli
affichistes è il pittore Georges Noël, artista nella cui opera incentrata sul
segno e la scrittura aveva trovato spazio l’uso di materiali di recupero. Hains
vi presenta la Palissade d’emplacements
reservés che viene subito identificata come una delle opere-chiave
dell’esposizione. «Questa famosa palizzata - commentava il critico di Combat,
Claude Rivière – sta lì, come una presenza della Francia lacerata (31), quella
Francia che certuni vorrebbero annientare e che, grazie a queste giovani
avanguardie, è invece lungi dal perire». E Pierre Restany scriverà più tardi:
«Il mondo intero è un quadro e la palissade non è un tipo di pittura ma la
pittura a portata di mano (…) La palissade con i suoi lembi di carta strappata,
rappresenta un passo in avanti nell’operazione “affichiste” perché l’immagine
lacerata è presentata sul suo supporto originale». Hains tuttavia, refrattario
ai clichés, e incline – come già si è potuto vedere – ai giochi di spirito, nel
marzo successivo espone al Salon Comparaisons un’immagine tratta
dall’Enciclopedia Clartés, notata casualmente in una vetrina, la fotografia,
abbastanza chiassosa, degli Entremets de la palissade, un dolce con panna e lamponi
circondato da una “palizzata” di biscotti, opera che indurrà Daniel Spoerri a
classificarlo come “il lucido
precursore dell’arte commestibile”.
È in occasione di una mostra collettiva
allestita nel maggio del 1960 presso la galleria Apollinaire di Guido Le Noci a
Milano, che la denominazione Nouveau Réalisme fa la sua prima comparsa. E il 27
ottobre, in casa di Yves Klein, viene fondato il gruppo dei nouveaux réalistes
con la partecipazione di Arman, Dufrêne, Hains, Yves Klein, Martial Raysse, Spoerri,
Tinguely e Villeglé, oltre che, ovviamente, di Restany (32). La dichiarazione
costitutiva, alquanto sintetica, si chiude sull’affermazione: «Nuovo Realismo =
nuove approssimazioni percettive del reale». Del ’61 è la mostra di gruppo À 40° au-dessus de Dada che inaugura la
Galerie J., aperta da Janine de Goldschmidt, moglie di Restany, per promuovere
la tendenza. Nonostante il dissenso nei confronti della presentazione redatta
per l’occasione da Restany (33), cui imputa di aver stabilito un improprio collegamento
fra il dadaismo duchampiano e le istanze novorealiste, Hains vi tiene la mostra successiva, La France dechirée, dove espone una
raccolta di manifesti politici di diverso orientamento, strappati dai passanti.
Iniziano in questo torno di tempo le sue partecipazioni a mostre di respiro
internazionale, come Bewogen Beweging (34)
(il movimento nell’arte) allo Stedelijk Museum di Amsterdam e The Art of Assemblage (35) al MoMA di
New York, dove espone anche l’anno seguente nella collettiva The New Realists alla Sidney Janis
Gallery (36). Nel 1963 diviene conclamato il disaccordo
degli affichistes con l’inquadramento critico di Restany, cui rimproverano una
lettura condotta «sotto l’angolo ottuso della sociologia e sotto la tesa di
Dada» (37), che mette in ombra il senso autentico del gesto di appropriazione,
il cui tratto «fenomenologico, sociologico ecc.» non può far dimenticare
l’appartenenza fu «al dominio della sorpresa poetica» (38). In questa
congiuntura Hains presenta al Salon Comparaisons un’opera gigantesca - Néo-Dada
emballé ou l’art de se tailler en palissade, progettata con Christo (che ne
realizzò la maquette impacchettando il cavallo a dondolo (39) del figlio) e
costruita dall’amico Gerard Matisse con assi di palizzata ricoperte da manifesti
lacerati – che si pone come «monumento al Pittore imbavagliato dalla Critica
d’Arte» (40). Nel contempo dall’opera traspaiono il riferimento al Cavallo di
Troia, dono periglioso collocato non casualmente alla porta del Museo, e
l’intento personale dell’artista di scompaginare i contorni di un’immagine del
proprio lavoro che giudicava soffocante. Così, dopo la dissoluzione ufficiale del
gruppo, Hains si allontana anche fisicamente dal suo ambito d’azione recandosi
in Italia, dove soggiorna dal ’64 al ’71. Qui da vita al ciclo Saffa e Seita (41), presentando le opere
di due artisti immaginari, i cui nomi sono ricavati dalle iniziali delle
principali fabbriche italiana e francese (42) di fiammiferi: scatole, in
formato gigante, appunto di zolfanelli destinati idealmente ad incendiare le
palizzate. E lavora sull’immagine della Biennale, proponendone una versione dechirée alla Galleria Apollinaire nel
1965 ed una eclatée, con foto
deformate dei cataloghi dei padiglioni nazionali, alla Galleria dell’Elefante,
a Venezia, nel 1968. Frattanto le sue ricerche s’instradano
verso una deriva nominalistica, imperniata su casualità e allitterazione.
L’esempio più noto è offerto dallo slittamento dalla palissade alla
lapalissade, che mette in campo i temi dell’errore, dell’ovvietà e dell’assurdo
la figura di Monsieur de La Palice, che l’abbaglio di un copista ha trasformato
da eroico comandante in “patrono dei semantici” sostituendo, nella canzone che
ne ricordava la morte alla battaglia di Pavia, al distico originario “s'il
n'estoit pas mort / il ferait encor envie” il tautologico “s’il n’estoit pas
mort / il serait encor en vie” (43). Su questa scorta Hains inaugura un
percorso nell’incongruo che lo porta a colloquiare con una discendente del
Maresciallo, a compiere una spedizione nella città di Lapalisse, ad effettuare
scoperte gastronomico-filosofiche (rintracciando le verités de Lapalisse (44),
dolci composti da un involucro di zucchero ripieno di caramello) e via dicendo.
Procedimento divagante che verrà replicato con la trasformazione del logo
dell’American Express in Armorican Express, ipotetico passaporto della Côte
d’Armor, dove si trova Saint-Brieuc, sua città natale, o nell’associazione del
marchio Shell a Santiago de Compostela, attraverso l’immagine della conchiglia,
icona tautologica della multinazionale e tazza del pellegrino in viaggio verso
la tomba dell’apostolo Giacomo. «L’origine appellativa reale del
significante dei nomi comuni e dei nomi propri (teonimi, antroponimi o
toponimi) – nota Villeglè - è per Raymond l’Onomaturgo, preoccupazione
insignificante. Al modo stesso in cui viaggia nel tempo senza curarsi della
cronologia, si prende gioco dell’onomastica scientifica a vantaggio di
un’onomastica poetica. Bricoleur fonico, vi è tirato per i capelli se gli capita
(utilizzando per esempio, sub specie ludi, sinonimi e antonimi parziali) di
rimotivare le parole (45). Hains si sforza di ricavare un tratto d’ordine
nominalista con tutta l’ambiguità semiotica che il nodo di coincidenze del
gioco di spirito comporta. Attraverso la paronomasia e la concatenazione del
suo monologo a scomparti, tenta di far esplodere, fra l’altro, l’implacabile
determinismo, disciplinato e gerarchizzato dell’arte e della pittura in
particolare» (46). Su questa via Hains procede inarrestabile:
discettando di Freud e Leonardo da Vinci alla Galerie Lara Vincy (1976), dando
la caccia al CNAC (anziché allo Snark lewisiano) dentro lo stesso CNAC (47)
(1976), sostituendo al cavallo la Valise de Troyes (1987), esponendo un
Monochrome dans le metro non avendovi trovato l’ethnologue (48), scoprendo che
Rotella non è un artista ma una lattina d’olio lubrificante, che Lemot non è laparola ma uno scultore lionese, facendo marciare la gigantessa
Iris Clert per le vie di Blois e di Kassel, rendendo omaggio al Marquis de
Bièvre, codificatore del calembour.
Senza dimenticare la palizzata (La foire
aux skis, 1988) o le immagini eclatées
(Échelle optometrique, 1990), ma
avanzando risoluto verso nuovi mezzi d’espressione con il macintoshage,
accumulo di informazioni visive e verbali ripreso dallo schermo del computer (Les Épitres de l’amant vert, 1999).
Così questo “ministro della propria
cultura” ci insegna a scoprire la realtà come linguaggio imprevedibile
attraverso i suoi strappi, le fessure nelle palizzate, il retroterra dei brand
mercantili, le citazioni: «una sedimentazione di senso che spetta all’artista –
e forse a lui solo – di rivelare; di attraversare per trasformare in oggetto di
godimento e di stupefazione la magnifica fantasmagoria di un mondo dove tutto
significa» (49).
Note
1) Dell’hypnagogoscope (da hypnos, sonno, agogos, che conduce,
skopeo, osservo), di fatto non realizzato, rimangono i piani disegnati da
Villeglé. Il termine hypnagogique venne introdotto da Alfred Maury nel 1848, per
descrivere lo stato allucinatorio che può insorgere nel passaggio dalla veglia
al sonno.
2) Colette Allendy (1895-1960), già allieva
di Albert Gleizes e Juan Gris, aprì la sua galleria nel 1946 ad Auteuil, al n.
67 di rue de l’Assomption. Vi ospitò gli
esordi dell’Abstraction lyrique, artisti del Gruppo Cobra, e, fra i futuri
Nouveaux Réalistes, Hains, Villeglé, Deschamps e Klein.
3) René Félix Eugène Allendy (1889-1942),
medico omeopata e psicanalista, cofondatore nel 1926 della Societé
Psychanalitique de Paris, ebbe fra i suoi pazienti anche René Crevel e Anaïs
Nin. Dopo la scomparsa della prima moglie, Yvonne Nel-Dumouchel, ne sposò nel
1936 la sorella Colette.
4) Charles Estienne, Tour d’expositions, “Combat”, 7 luglio 1948.
5) Pierre Descargues, Photographies surréalistes et abstraites de
Hains, Arts, 6agosto 1948.
6) Gli spezzoni del film saranno montati nel
1981 da Jean-Michel Bouhours, all’epoca capo del servizio cinema del Centre
Pompidou, secondo un criterio di salvaguardia archivistica. In precedenza parte
del film era stata proiettata nel corso di una serata nello studio di Marie
Raymond, madre di Yves Klein, mentre un estratto di 5’26” era stato sonorizzato
nel 1958 da Pierre Schaeffer con il titolo di Étude aux allures e mandato in onda dalla RTF il primo gennaio
1960. Un’ulteriore proiezione frammentaria venne proposta dal Centre Culturel
Français di Milano nel 1960.
7) L’espressione riprende per via omofonica
il titolo di uno dei più noti saggi filosofici di Jean-Paul Sartre, L’Être
et le Néant (L’Essere e il Nulla),
pubblicato nel 1943.
8) V. M. GIROUD, Introduction, in C. BRYEN, Dèsecritures, Les presses du réel, Dijon
2007, nota 16.
9) L’opera fa ora parte delle collezioni del
Musée de Beaux-Arts di Nantes.
10) L’espressione gioca sul doppio significato
del termine de-lire: disleggere e delirio.
11) Qui il riferimento è all’Abhumanisme,
teorizzato successivamente da Jacques Audiberti e dallo stesso Camille Bryen ne
L’ouvre-boîte. Colloque abhumaniste
(NRF Gallimard, Paris 1952), concezione che anziché porre l’uomo al centro del
mondo, “pone il mondo al centro dell’uomo”.
“L’Abhumanisme non codifica né cristallizza, non rifiuta di considerare
alcun movimento, alcun itinerario specifico della scienza e dell’intelligenza.
Ma non ne predilige nessuno. Per questo è apriscatole e cavallo di Troia” (ivi,
p. 47).
12) Cfr. Poésure et
Peintrie, cat. della mostra, a cura di Bernard Blistène, Centre de la Vieille Charité, Marseille, 12
février – 23 mai 1993, p. 270.
13) In un’intervista riportata nel catalogo
della mostra François Dufrêne, 1930-1982
(Musée de l’Abbaye Sainte-Croix, Les Sables d’Olonne, 11 giugno – 30 settembre
1988), Hains afferma di aver conosciuto il movimento lettrista nel 1947,
attraverso un articolo di Gaston Criel e di aver poi seguito numerosi recitals
lettristi. Nel 1954 l’incontro con François Dufrêne (peraltro già conosciuto in
precedenza) introduce più direttamente Hains nella cerchia
dell’Ultra-lettrismo.
14) R.H. racconta di aver assistito il 13
gennaio 1947, al Théâtre du Vieux Colombier, alla conferenza Histoire vécue d'Artaud-Mômo, Tête-à-Tête
di Antonin Artaud. Lo stesso anno assiste a La
tentative orale di Francis Ponge (Cfr. P. FOREST, Raymond Hains, uns romans, Gallimard, Paris 2004, p. 60).
15) C. BRYEN et A.
GHEERBRANT, Anthologie de la poésie
naturelle, K éditeur, Paris 1949.
16) Come non ricordare, più addietro, il
passo de L’esthétique de la rue
(1900) nel quale Gustave Kahn, citando Roger Marx, annota: “Il manifesto (…) è
il quadro mobile ed effimero di un’epoca invaghita della divulgazione e avida
di mutamento. La sua arte non ha minor significato né minor prestigio
dell’affresco”. O i versi di
Apollinaire in Zone (Alcools, 1913): “Tu lis les prospectus les catalogues les
affiches qui chantent tout haut / Voilà la poésie ce matin et pour la prose il
y a les journaux”. Da notare anche la consonanza
dell’elencazione formulata da Bryen con un noto passo rimbaldiano: “Amavo le
pitture idiote, sovrapporte, le tele
decorate dei saltimbanchi, insegne, miniature popolari …” (Cfr. A. Rimbaud, Une
saison en enfer, Alliance Typographique (M. –J. Poot et Compagnie),
Bruxelles 1873, p. 29).
>17) C. BRYEN ET A.
GHEERBRANT, op. cit., p. 167.
18) Secondo la nota
affermazione di Lautréamont, “La poésie doit être faite par tous. Non par un”,
in Poésies II, Librairie Gabrie,
Paris 1870, p. 10.
19) C. BRYEN et A.
GHEERBRANT, op. cit., p. 168.
20) Un’analoga esperienza era occorsa a Léo
Malet che la riferisce nello scritto La poésie mange les murs (1936 ca.,
ripreso in L. MALET, Œuvres Complètes,
T. 1, Robert Laffont, Paris 1990 p. 1058). Nel Dictionnaire abregé du Surréalisme, di André Breton e Paul Eluard,
pubblicato nel gennaio 1938 in occasione dell’Exposition internationale du
Surréalisme alla Galerie de Beaux-Arts,
alla voce décollage si legge: “Léo Malet
ha proposto di generalizzare il procedimento, che consiste nello strappare un
manifesto in modo da far apparire frammentariamente quello (o quelli) che
ricopre e da speculare sulla virtù spaesante o sconvolgente dell’insieme
ottenuto”. Villeglé, in Laceré anonyme
(Centre Pompidou, Paris 1977, pp. 49-51) rende omaggio a Malet ma tiene a
differenziare la sua “invenzione poetica” dalla “invenzione plastica” degli
affichistes.
21) Paradossalmente Bryen, in un’intervista
a Daniel Abadie riportata nel catalogo della mostra dedicata ad Hains dal Musée
National d’Art Moderne nel 1976, dirà di non essere “particolarmente eccitato
dal fatto di collocare un manifesto strappato in una galleria o in un museo
piuttosto che lasciarlo in strada” e solleverà dubbi nei confronti del
sopravanzare di un’arte di predazione rispetto all’arte di creazione. (cfr. J. VILLEGLÉ, Urbi
& Orbi, Éditions W, Maçon 1986, p. 93).
22) A. JOUFFROY, Pour une Biennale clandestine, l'Aventure
extraordinaire de Raymond Hains et de ses compagnons , Opus
International n° 18, 2° trimestre 1970, p. 37 (citato in D. STELLA, Storia del lacerato anonimo, in Jacques
Villeglé. Opere dagli anni ’60 ai 2000, catalogo della mostra,
Yvonneartecontemporanea, Vicenza 2011, p. 10). L’immagine di questo “premier
morceau d’affiche arraché au coin de la rue Delambre et du boulevard Edgar
Quinet” nel dicembre 1949 è riprodotta nel volume di P. FOREST, citato alla
nota 14, a p. 80.
23) Vedi D. SCHWARZ, Aperçu historique des affichistes, in Murmures de la rue, Centre d’histoire de
l’art contemporain, Rennes 1994, pp. 34 e 37.
24) Il parallelo con la
Tapisserie de Bayeux è avanzato da Pierre Restany nel volume Les nouveaux réalistes (Édizions
Planete, Paris 1968; trad. it. Il nuovo
realismo, Prearo, Milano 1973, p. 33).
25) C. FRANCBLIN, Les nouveaux réalistes, Éditions du
Regard, Paris 1997, p. 39.
26) J. VILLEGLÉ, Urbi & Orbi, cit., p.
30.
27) Hains gioca sull’ambiguità semantica del
termine décollage: “scollamento” nel linguaggio comune; “decollo” con
riferimento all’aeronautica. L’opera in questione è menzionata da J. VILLEGLÉ
in Urbi & Orbi, cit., a p. 30.
28) La legge francese che tuttora regola le
affissioni.
29) V. p. 29 del catalogo della mostra di
François Dufrêne citato alla nota 13.
30) J. VILLEGLÉ, Des réalités collectives, in “Grammes”
n. 2, 1958, p. 11.
31) La France dechirée, sarà poi il titolo
della mostra di Hains alla Galerie J. nel 1961.
32) Vedi P. Restany, L’autre face de l’Art, Galilée, Paris
1979, p. 112.
33) Il testo di Restany costituisce il secondo
manifesto del Nouveau Réalisme, laddove la prefazione alla mostra del maggio
1960 alla Galleria Apollinaire verrà considerato, sebbene antecedente alla
formazione del gruppo, il primo.
34) Bewogen
Beweging, a cura di Willem Sandberg e Pontus Hulten, è stata allestita nel
1961 allo Stedelijk Museum di Amsterdam e successivamente al Moderna Museet di
Stoccolma.
35) The Art of Assemblage, a cura di William
C. Seitz, The Museum of Modern Art, New York, 2 ottobre – 12 novembre 1961.
36) Raymond Hains ha partecipato, in
seguito, a numerosissime rassegne internazionali, fra cui la Biennale di
Venezia (1976, 1990), la Quadriennale di Roma (1977), Documenta (Kassel 1968,
1997) Projekte Skulptur (Munster, 1997), Biennale di Sidney (1990), Biennale di
Istanbul (1995), Biennale di Lione (1997), oltre a molteplici esposizioni
tematiche (da Metamorphose des Dingen – Basilea, Berlino, Bruxelles, Milano,
Rotterdam 1971-72), Paris-Paris (Parigi, Centre Pompidou, 1991), Poésure et
Peintrie (Marseille, 1993) sino alle recenti Gli Affichistes fra Milano e
Bretagna (Milano, 2005), Nouveau Réalisme - Revolution des Alltäglichen
(Hannover, 2007) e Nuevos Realismos: 1957-62. Estrategias del objeto, entre
readymade y espectáculo (Madrid, 2010). In sede museale gli sono state dedicate
importanti personali fra l’altro al CNAC (Parigi, 1976), alla Fondation Cartier (1986), al PS1 (New
York 1989), al Centre Pompidou (Parigi,
1990, 2001), al Portikus (Frankfurt, 1995), al FRAC Champagne-Ardenne
(Reims, 1998), al Macba (Barcelona,
1999), al Museu Serralves (Porto, 2000) al Musée d’Art Moderne de Saint-Etienne
(2000), al MAMAC di Nizza (2000).
37) Così Dufrêne, in un brano riportato da
Catherine Francblin (op. cit., p. 134-135).
38) L’affermazione è di Villeglé (ivi, p.
134). Va aggiunto che, già in precedenza, Hains si era dichiarato “Sigisbée de
la Critique”, ovvero suo “cavalier servente”.
39) E’ noto che, secondo la versione fornita
da Richard Huelsenbeck, dada in francese significa appunto cavallo a dondolo e
che tale parola fu scoperta casualmente da lui e da Hugo Ball, mentre erano
intenti a cercare tra le pagine di un vocabolario un nome per la cantante del
Cabaret Voltaire, Madame Le Roy.
40) Affermazione dello
stesso Hains, riferita da François Dufrêne nel testo Les Entremets de la Palissade, le Néo-Dada emballé et le Sigisbée de la
Critique de Raymond Hains pubblicato nell’Encyclopedie des Farces, Attrapes
et Mystifications, Jean-Jacques Pauvert editeur, Paris 1964.
41) Ciclo iniziato a Venezia, con la mostra
alla Galleria del Leone, nel 1964,
proseguito a Parigi l’anno seguente alla Galerie Iris Clert e nel 1970 a
Milano, alla Galleria Blu; in quest’ultima occasione Hains presenta il Disque
bleu pour Saffa, con una registrazione fonetica.
42) S.A.F.F.A., Società per Azioni Fabbrica
Fiammiferi e Affini; S.E.I.T.A., Societé Nationale d’Exploitation Industrielle
des Tabacs et Allumettes.
43) La versione originale recita: “se non
fosse morto / farebbe ancora invidia”; quella alterata: “se non fosse morto /
sarebbe ancora in vita”.
44) La ricetta è stata creata nel 1922 dal
pasticciere Jean Savaudet.
45) Nell’originale francese intraducibile :
remotivera les mots, espressione in cui il primo termine contiene il
successivo.
46) J. VILLEGLÉ, Urbi & Orbi, cit. p. 38.
47) CNAC: Centre
National d’Art Contemporain.
48) Il riferimento è al volume di M. AUGÉ, Un ethnologue dans le metro, Hachette, Paris 1986.
>49) P. FOREST, op. cit., pp. 186-187.
Raymond Hains Avenue d'Italie, 1974
(2011)
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