FRANÇOIS DUFRÊNE:

AU DELÀ DU MOT, AU DESSOUS DE L'IMAGE

 

“Le parole giocano da sole e fra loro” (1).  E’ vero, probabilmente.  Ma per riuscire a coglierne - “grazie alla faglia, alla breccia” aperta sul loro universo - le risonanze, gli scambi di senso, la continua germinazione, occorrono sempre recettori di sensibilità straordinaria: “Dufrêne, Duchamp, Joyce, Prevert o Vermot (2),” e magari, più indietro nel tempo, lo spirito strambo di François-Georges Marechal, marquis de Bièvre (3), autore del saggio sul calembour pubblicato da Diderot e D’Alembert nell’Encyclopedie e della favola senza capo né coda che ha per protagonista la Comtesse Tation, o, ancora, l’ironia profetica dispiegata da Alcofribas Nasier (4), astrattore di Quinta Essenza,  nell’episodio gargantuesco delle “parole gelate” (5).

All’estremo di questa genealogia che investe in pieno la contemporaneità, François Dufrêne si è calato all’interno di un perimetro dove parole drogate (6) di omofonie e allitterazioni, lettere estenuate dall’obbedienza alla legge della ripetizione, fonemi protesi verso quello che al tempo si prospettava come il loro dopodomani (7) s’intrecciavano a formare le “fibre compositive” di un apporto - completato dalle illeggibili scritture rinvenute nei dessous d’affiches,  dal parossismo, “non districabile con la penna” (8), dei cri-rythmes -  che ha investito una pluralità di campi della ricerca sonora e visiva.

Si arguisce da queste premesse come l’inserimento fra gli affichistes (9) - legata alla partecipazione, fra il 1960 ed il 1970, alle attività del gruppo dei Nouveau Réalistes promosso da Pierre Restany - pur focalizzando l’attenzione su uno dei suoi più felici ambiti d’intervento, quello che forse più di ogni altro gli ha assicurato notorietà nel panorama artistico (10), rischi di circoscriverne in modo eccessivo il profilo e di indurre un’interpretazione imprecisa delle stesse opere ricavate da manifesti rovesciati, distaccata da quella che Catherine Francblin ha indicato come la sua motivazione fondamentale: “L’ambizione di far esplodere il linguaggio per rivelarne la dimensione fisica, ad un tempo arcaica, grave e fantastica” (11).

 

Ad avvalorare questa opinione è tutto il percorso di Dufrêne, sin dalle prime esperienze, che si inaugurano con l’adesione, nel 1946, a sedici anni, al movimento lettrista, fondato poco prima a Parigi da Isidore Isou.  L’orientamento di questo gruppo - il cui prolungato offuscamento sul piano storico-critico ne ha fatto, come ha recentemente osservato Frédéric Acquaviva (12) , una sorta di “anello mancante” della vicenda delle avanguardie, di cui solo ora si vanno riscoprendo “le molteplici profezie” – si incentrava sulla proposta di una poesia (e di una musica) basata sui valori puramente sonori della lettera, cui sul piano visivo corrispondeva l’ipergrafia, ossia una pratica pittorica perseguita attraverso l’impiego di tutti i segni alfabetici esistenti o d’invenzione. L’impegno di F.D. si sviluppa dapprima in prevalenza sul piano poetico. Nel 1947 pubblica su Fontaine la sua prima poesia lettrista, la “Danse des lutins”, composta da quattro quartine e un’ottava che propongono ripetute variazioni fonetiche, in crescendo e in diminuendo sul termine musicale “dolce”.  A partire dallo stesso anno prende parte a numerose letture di poesia lettrista, alla Salle des Societés Savantes, alla Maison des Lettres, alla Salle de Géographie, sino al suo primo recital personale, ancora alla Maison des Lettres, nel 1950.

Ma il Lettrismo, oltre ad offrire una materia poetica sostanzialmente nuova (13), ha fornito al giovane Dufrêne un metodo d’invenzione, stabilito su un principio di ramificazione teso ad abbracciare l’intero ambito della creazione artistica e dell’organizzazione sociale e sul rivolgimento del quadro produttivo esistente, attraverso l’individuazione di nuovi procedimenti e di supporti inediti.

Di qui l’estensione dei suoi sondaggi alla sfera cinematografica, dove, sulla scia del film discrepante (14) di Isou e della séance de cinema di Maurice Lemaître (15), realizza “Tambours du jugement premier”, presentato nel 1952 in margine al Festival di Cannes (16), film senza pellicola, risolto nella recitazione di brani di poesia lettrista, di aforismi cantati, di versi allitteranti, di brani narrativi straniati, con il quale Dufrêne pone in atto il proposito di “doppiare l’immagine, dato che non si tratta più di percepirla passivamente ma di immaginarla, di ricrearla”, per arrivare così a “mettere in dubbio l’essenza stessa del cinema attraverso il cinema immaginario” (17).

Nel contempo, seguendo un’altra delle piste aperte da Isou con il “Traité d’economie nucleaire”, in cui si analizza la posizione della gioventù, esterna al sistema della produzione, e la sua potenzialità rivoluzionaria, fonda con Marc’O (Marc-Gilbert Guillemin) e Yolande de Luart, la rivista “Soulevement de la Jeunesse”, per cui redigerà un complesso “Piano di riforma dell’insegnamento secondario” (18). Ed è grazie alla diffusione della rivista, venduta direttamente in strada e nei caffé parigini che Dufrêne incontra per la prima volta Raymond Hains (19) che all’epoca conduceva con Villeglé esperimenti fotografici con un macchinario di sua invenzione chiamato “hypnagogoscope”, facendo “esplodere” le lettere (20).

Insofferente delle limitazioni dottrinali contemplate nella poetica isouiana, Dufrêne trova nel 1953 nel magnetofono uno strumento che gli consente la libertà dell’improvvisazione e la possibilità di estendere al lirismo verbale e fonetico l’indicazione di Artaud, costante riferimento delle sue prime ricerche: “Restituire al performer una voce propria, variante fra il tono naturale e l’artificio più irritante. Svelare, attraverso questi nuovi toni, sentimenti supplementari e inusitati” (21).

Si apre così una nuova fase. Dufrêne diviene “ULTRA-LETTRISTA (è lui che ha inventato il termine) perché ha abbandonato il Lettrismo scritto per il CRI-RYTHME automatico. L’automatismo non è più applicato alla scrittura né al concetto (conservato nell’immagine surrealista) ma al linguaggio articolato – e inarticolato – al materiale intrinseco della voce umana” (22).

“Con le sue proiezioni fisiche – ha scritto Henri Chopin (23) -  Dufrêne è il poeta sonoro “brut”; può essere considerato, incontestabilmente, come colui che ha rivelato le sonorità buccali ai musicisti.  Pierre Henry (24) trarrà ispirazione da lui.  John Cage avrà in seguito sviluppi paralleli, allo stesso modo in cui – più tardi ancora – l’Extented Vocal Techniques Ensemble avrà, curiosamente, delle somiglianze con il suo lavoro, a partire dal 1972”.

Accanto al “crirythme”, F.D. coltiva altre modalità di espressione poetica che trovano una sintesi nel “Tombeau de Pierre Larousse” (25), simbolica sepoltura di “un monumento della Civiltà della Carta”. Un “trompe-l’oreille”, come lo definiva l’autore stesso; una partitura vocale complessa, articolata in un’ouverture e sedici brani, che “danza letteralmente sedici consonanti, trascinando ogni volta nella danza un corteggio di parole e di nomi preesistenti, disintegrati in una maniera tale che vi si perde voluttuosamente la lingua francese ... (sostituita da) una vera lingua d’incantamento magico il cui effetto fuorviante, sconvolgente, terrificante o comico risulta irresistibile per ogni ascoltatore dotato di senso” (26).

A questo lavoro Dufrêne, ha dato, nel tempo, numerose appendici, fra cui una italiana (27). Nel corso degli anni ‘50 la frequentazione di Hains e Villeglé che, già dal 1949, s’interessavano ai materiali ricavabili dai manifesti strappati dai muri (28) e dalle palizzate (di quello stesso anno è “Ach Alma Manetro”, un assemblage – definito da Camille Bryen un “acte de prédation” - di oltre due metri e mezzo di lunghezza realizzato appunto con frammenti in cui sono riprodotti principalmente materiali verbo-visivi), dischiude all’artista un nuovo campo d’azione, cui peraltro esiterà a lungo ad introdursi, se non come testimone.

F.D. non partecipa all’esposizione che Hains e Villeglé allestiscono nel maggio del ’57, presso la galleria di Colette Allendy (“Loi du 29 juilliet 1881 ou le lyrisme à la sauvette” (29) ). Ospita invece nel suo studio di Rue Vercingetorix, due anni dopo, in giugno, “Laceré anonyme”, mostra in cui vengono ufficialmente esposti lavori di Villeglé, ma compaiono – a latere – opere di Hains, sue e del cognato Anouj. Prende infine parte ufficialmente nell’ottobre del 1959, insieme ai due amici, su invito di Georges Noël, alla Biennale de Paris, con quattro dessous d’affiches applicati al soffitto di quella che doveva essere la Salle des Informels.

L’iniziale perplessità di Dufrêne pare trovar giustificazione nella distanza percepita rispetto alla affermazione, da parte di Villeglé ed Hains, del valore delle “realtà collettive” e dell’anonimità dell’opera (30).

Nel rovescio dei manifesti esposti lungo tutto l’arco della sua partecipazione al gruppo novorealista (31) l’artista sembra infatti identificare, a livello visivo, una sorta di “grado zero” della scrittura e dell’immagine (o come ha osservato Restany, richiamandosi al “Prodrome” a “Tambours du Jugement Premier”, “un’immagine interrotta prima dell’immagine” (32) ), un procedimento iconoclastico che non prende direttamente di mira il potere pubblicitario, non riflette criticamente sulla realtà della cultura di massa, ma si sforza ancora una volta d’identificare nello spazio inesplorato che sta dietro (o innanzi) alla comunicazione, un territorio abitato da segni o tracce involontarie e decifrabili in più direzioni (33), definito da contorni irregolari e pervaso da colori attutiti, in cui risiede un’espressività elementare e intrinsecamente poetica.

Sovviene, a questo proposito, una riflessione di  Raymond Hains (34): “Penso che (Dufrêne) si preoccupasse del rapporto fra i manifesti rovesciati e la sua poesia, in particolare quando ha realizzato “Mot Nu Mental” (35) ... ha sempre cercato questo legame, questo rapporto fra la parola e i suoi lavori”. Non a caso, quindi, Annette Michelson ha scorto in quest’opera, il cui titolo gioca con il carattere monumentale delle lettere esposte ed il carattere nudo e mentale dell’operazione verbale, “la sintesi definitiva del Lettrismo e dell’affichisme (...) dopo vent’anni di noia post-liberazione” (36).

Il suo far perno sulla materia poetica come deposito inesauribile di suoni, di slittamenti progressivi del significato, di immagini scaturenti da profili quasi indistinguibili di lettere o di figure, ritorna, velato, nei frammenti ordinati in questa mostra (la prima personale in Italia; la prima, da più di dieci anni, in Europa) ed emerge del tutto palese nella “Cantate des Mots Camés” (1972-1977), in cui ogni sillaba trova il suo omofono nei cinque versi seguenti. 

Con questo grande lavoro della maturità Dufrêne “offre una nuova strutturazione del linguaggio, in cui le parole ed i fonemi si urtano, si premono a vicenda per far nascere calembours, inversioni sillabiche, allusioni, associazioni verbali e musicali” (37).

In parallelo all’approfondimento della ricerca verbale si verifica, nel corso degli anni ’70, l’adozione in ambito visivo di nuove tecniche e materiali. A partire dal 1973 ai dessous d’affiches s’accostano così i dessous de stencils, impronte ricavate da matrici di duplicatori, ove l’accumulo di parole e d’inchiostro tipografico produce macchie oscure singolarmente sfrangiate, e le Bibliothèques in ovatta di cellulosa applicata su tela, da cui traspaiono le sue inclinazioni di lettore. A testimoniare, una volta ancora, il continuo e coerente rinnovamento di una ricerca interrotta nel 1982 da una scomparsa precoce.

 

Sandro Ricaldone (settembre 2002)

 

 

 

 

Note:

1.                   F.D., “L’Alliterator”, in “Bizarre” n. 33-34, J.J. Pauvert ed., Paris 1964, p. 125.

2.                   Joseph Vermot è stato il creatore di un celebre almanacco, con ampi spazi riservati all’umorismo, tuttora pubblicato in Francia.

3.                   F.D. ha dedicato al “gioco della lettera I”, ideato dal Marquis de Bièvre, un assemblaggio del 1963. Nel 1984, su iniziativa di Raymond Hains, la Fondation Cartier ha allestito una rassegna in omaggio al Marquis.

4.                   Con questo nome anagrammato, François Rabelais diede alle stampe nel 1532 a Lione “Pantagruel. Les horibles et espouetables faitz & prouesses du trés renommé Pantagruel Roy des Dipsodes / filz du grand geant Gargantua / Composez nouvellement par maistre Alcofribas Nasier”, primo volume del ciclo gargantuesco.

5.                   F. Rabelais, Gargantua et Pantagruel, capitolo LVI, libro IV.

6.                   F.D. è autore della “Cantate des mots camés” (1977) edita in cassetta audio dal Centre d'Art et de Culture Georges Pompidou. Una sua riedizione è apparsa nel 1983, per iniziativa della Achèle Editeur di Parigi.

7.                   F.D., “L’aprés-demain d’un Phonème”, in “grâmmeS, revue du groupe ultra-lettriste”, n. 2, Parigi 1958, pp. 25-32.

8.                   Ibidem, p. 27

9.                   Denominazione attribuita agli artisti che a partire dalla seconda metà degli anni ’50 hanno lavorato con manifesti strappati dai muri come Vostell ed i novorealisti Hains, Villeglé, Dufrêne, Rotella. Nei tardi anni ’60 anche Asger Jorn ha eseguito una serie di lavori con questa tecnica.

10.               L. Barraud, L. Labaye, O. Rauly-Marechal, “En un temps cinq mouvances: rencontres et collaborations 1945-1963”,  in “Murmures des rues”, Centre d’histoire de l’art contemporain, Rennes 1994.

11.               C. Francblin, “Les Nouveaux Réalistes”, Editions du Regard, Paris 1997, p.  30.

12.               F. Acquaviva, nota introduttiva al CD  “Musiques lettristes” di Isidore Isou, Al Dante ed., Romainville 2000.

13.               I precedenti futuristi e dadaisti, per quanto di straordinaria importanza, non hanno la sistematicità e l’ampiezza dell’approccio isouiano.

14.               Il riferimento è al “Traité de bave et d’eternité” (1951) in cui Isou scinde la corrispondenza fra immagine e colonna sonora.

15.               “Le film est déjà commencé?” (1952), la cui proiezione, su uno schermo sferico, è integrata da interventi di performers in sala e dall’interazione con il pubblico.

16.               Gli interpreti del film, alla prima di Cannes, furono, oltre a F.D., Marc’O, Gil J. Wolman, Guy Debord. Qualche mese più tardi, nell’ottobre ’52, Marc’O, Dufrêne e gli altri appartenenti al gruppo “Soulèvement de la Jeunesse”, contesteranno violentemente al ciné-club del Quartiere Latino, il primo film di Debord, “Hurlements en faveur de Sade” (v. J.M. Mension, “La Tribu”, Ed. Allia, Parigi 1998, p. 95-96).

17.               F.D., “Prodrome”, introduzione a “Tambours du jugement premier” in “ION. Centre de Création”, n. 1, aprile 1952, p. 195.

18.               F.D., “Plan de réforme de l’enseignement secondaire” in “Le Soulèvement de la Jeunesse” n. 3, octobre 1952. Sulla rivista viene pubblicato, fra l’altro, un articolo di Yves Klein, che Dufrêne aveva conosciuto ad un serata organizzata dalla madre, Marie Raymond, e che più tardi presenterà a Hains e Villeglé, prefigurando il nucleo del gruppo dei Nouveaux Réalistes, ufficialmente costituito nel 1960.

19.               V. l’intervista di Aude Bodet a Raymond Hains, nel catalogo della mostra “François Dufrêne (1930-1982)”, Musée de l’Abbaye Ste-Croix, Les Sables d’Olonne, giugno-settembre 1988.

20.               V. i disegni dell’apparecchiatura, basata sull’impiego di vetri scannellati, nel volume di Villeglé, “Urbi & Orbi”, ed. W, Mâcon 1986, pp. 194-195. L’esito più noto di questa sperimentazione è costituito da “Hepérile Eclaté” (1953), deformazione di una composizione fonetica di Camille Bryen.  Il tentativo di realizzare, con lo stesso sistema, un film astratto (“Pénélope”, 1950-54) è invece rimasto incompiuto.

21.               F.D., “Prodrome”, in “ION”, cit. p. 196. Rendiamo il termine “diseur” utilizzato da Dufrêne in sostituzione dell’originario “acteur”, con “performer”.

22.               “Note différentielle sur les Ultra-Lettrismes de Villeglé, Dufréne et Estivals”, in “grâmmeS”, cit., p. 7. Un altro “superamento” della posizione lettrista ortodossa era stato attuato nel 1950 da Gil J. Wolman, con la “Mégapneumie”, in cui mette in questione la lettera, separando la vocale dalla consonante e disintegrando quest’ultima (v. il testo “Introduction à Wolman” pubblicato in “UR”, n. 1, 1950).

23.               H. Chopin, “Poèsie sonore internationale”, J.M. Place ed., Paris 1979, pp. 98-99.

24.               Compositore e teorico della “Musique concrète”.

25.               Pubblicato in  “grâmmeS”, cit., pp. 35-68.

26.               A. Jouffroy, “Oreille pour un Tombeau”, prefazione a “T.P.L.”, Verlag der Kalender 1961, illustrazioni e impaginazione dell’Ouverture di Wolf Vostell, Wuppertal.

27.               “Recitativo all’italiana”, seguito al “T.P.L.”, in occasione del X anniversario della fondazione del gruppo dei Nouveaux Réalistes, Milano 1970.

28.               Due precedenti di rilievo sono costituiti dalla serie fotografica di graffiti murali intrapresa da Brassaï nel 1932 e da alcuni scatti di Wols del 1938-39, che ritraggono  palizzate con manifesti lacerati. Una anticipazione teorica del “Lacéré anonyme” è costituita da “La Clé du champ de Manoeuvre I – Lithofagisme de la poèsie” di Leo Malet, ne “La Conquête du Monde par l’image”, Ed. La main à plume, Paris 1942.

29.               la legge del 28 luglio 1881 sancisce il divieto d’affissione al di fuori degli spazi deputati.

30.               Il riferimento è al titolo del testo programmatico di Villeglé: “Des réalités collectives” in “grâmmeS”, cit., pp. 9-11.

31.               Periodo durante il quale, tuttavia, fonda nel 1964 con Gil J. Wolman e Jean-Louis Brau la Deuxième Internationale Lettriste (D.I.L.).

32.               P. Restany, “l’invenzione della palissade”, in “Nuovo Realismo”, Giampaolo Prearo ed., Milano 1973, senza indicazione pagina (ma p. 41).

33.               Analogamente alla macchia sul muro di cui parla Leonardo nel “Libro di pittura” (paragrafo 66 della edizione Giunti, Firenze 1995).

34.               R. Hains, intervista di Aude Bonet, cit. .

35.               Si tratta di una serie di undici pannelli, ciascuno riportante una lettera ricavata dal retro di manifesti, che formano la scritta “Mot Nu Mental”, esposta alla Galerie J. di Parigi nell’aprile 1964.

36.               A. Michelson, “Dufrêne” in “Art International”, 1964, VIII, 4, p. 48.

37.               S. Poulain, “François Dufrêne, lacérateur de mots et d’affiches”, in “Murmures des rues”, op. cit., p.74.



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