CORRADO D'OTTAVI E LA RICERCA VERBO-VISIVA
A GENOVA di Sandro Ricaldone Poesia visiva, scrittura simbiotica,
ricerca verbo-visiva, poesia tecnologica: una pluralità di sigle mediante cui
si è tentato di definire - non di rado con intenti antagonistici - le pratiche
artistiche volte, negli anni '60/'70, ad indagare quel territorio immenso e,
insieme, ambiguo, costituito dalla sintesi fra l'espressione verbale
(considerata nei suoi aspetti fonetici e semantici, vale a dire di configurazione
sonora e di significato) e la sua manifestazione propriamente visuale. Per quanto le origini della ricerca d'una
fusione tra immagine e scrittura affondino nell'antichità (numerosi esempi sono
rintracciabili dal periodo alessandrino, attraverso autori medievali del genere
di Isidoro di Siviglia e di Alcuino, sino al "Coup de dés" di
Mallarmé ed ai Calligrammi di Apollinaire) è solo con il Futurismo (prima) ed
il Dadaismo (poi) che la sperimentazione sulle valenze fonetiche e visuali della
parola poetica acquisisce una definitiva autonomia. Nel secondo dopoguerra è il Lettrismo ad
oltrepassare programmaticamente l'ambito della parola per incardinare
l'esplorazione poetica attorno alla lettera, eretta ad elemento di base (una
sorta di atomo scritturale non meno che pittorico) di un impulso di creazione
diretto ad investire ogni ambito del sapere e dell'organizzazione sociale. Altre indagini, promananti da premesse
costruttivistiche come la variante mitteleuropea della "poesia
concreta" (per cui si può citare il nome di Gomringer) o da schemi
permutazionali, come gli esperimenti attuati con l'impiego di computers da Max
Bense, o infine di matrice spazialista, come i tentativi di Ilse e Pierre
Garnier, prendono campo lungo gli anni '50. E' verso la fine del decennio che prende a
definirsi in Italia una nuova situazione che ha i suoi riferimenti principali a
Genova (dove nel '58 appare "Ana eccetera", la rivista di Martino ed
Anna Oberto, seguita da "Tool" di Carrega e da "Trerosso"
di Luigi Tola e del Gruppo di Studio); Napoli (che - sempre nel '58 - vede
l'uscita di "Documento Sud", diretta da Luigi Castellano (Luca), cui
collaborano Mario Persico, Stelio Maria Martini e Luciano Caruso); Firenze (con
la formazione nel 1963 del "Gruppo 70" da parte di Pignotti, Ori e
Miccini). Un tentativo di chiarire le ragioni
specifiche del fenomeno (discutibilmente presentato come l'ultimo sussulto
vitale proveniente da centri in via di progressiva emarginazione culturale)
viene compiuto nei saggi di Guido Giubbini e Sandra Solimano pubblicati nel
catalogo che - unitamente a svariati dibattiti - affianca la mostra del corpus
di opere di Corrado D'Ottavi, uno dei protagonisti di queste vicende, donato
dagli Eredi al Museo di Villa Croce, rischiando tuttavia di creare - per il
sovrapporsi d'un'indagine di porata generale ad uno spunto espositivo
individuale - qualche confusione. Benché il punto nodale di questo tipo di
ricerca venga acutamente identificato da Giubbini "non tanto nel fare il
verso, sia pure da sinistra, al linguaggio dei mass-media, ma nel far procedere
l'operazione critica di pari passo con l'approfondimento e il rinnovamento
degli strumenti stessi della comunicazione nel nuovo specifico
interlinguistico", non risulta chiarito se l'impasse registratasi attorno
al '63, esauritasi la fase inaugurale, sia stata determinata da sovraccarico
ideologico, da subalternità nei confronti dei linguaggi pubbicitari od infine
al cristallizzarsi della ricerca in un ambito settoriale. Nel caso di D'Ottavi la distanza piuttosto
netta che divide i lavori degli anni 58/60 da quelli del periodo seguente
suscita interrogativi analoghi. Nel primo periodo, segnato dall'influenza
di Oberto, l'artista pratica inizialmente (e celermente abbandona) una
scrittura a mano con inserti di ascendenza informale prossimi agli esercizi
anticalligrafici di Novelli e Twombly ma assai vicini, anche, alle
"peintures-mots" CoBrA ("Nella forma del tutto", 1958)
trapassando quindi ad una sperimentazione collagistica in cui a lacerti
colorati si assemblano frammenti verbali, dattiloscritti dapprima e
successivamente a stampa, estratti da pubblicazioni diverse (cfr.
"Libertà" 1958/59; "Mille e mille", 1959) che attraverso
opere di notevole efficacia approda a quello che - anche per dimensione - può
considerarsi il maggior risultato di quel momento creativo
("Alfa-Omega", collage di carta su tela grezza, databile attorno al
1960). Negli anni successivi si manifesta invece
un'adesione via via più marcata ai moduli del linguaggio pubblicitario, mentre
nel messaggio verbale la connotazione poetico-sperimentale viene sostituita da
una valenza comunicativa immediata. Questo consapevole abbandono della
"contemplazione poetica" (esplicitato in "Da lunedì si entrerà
nel vivo dei problemi", un'opera del 1974) se testimonia una sincera
volonta' di "impegno umano e sociale", l'intendimento di misurarsi
con il reale, circoscrive talvolta l'opera in un orizzonte monosemico che ne
limita la portata artistica ("Ognuno vede ciò che sa", 1967; "Inchiesta
su chi comanda", 1974), mentre in altri casi ("Una croce a due
piazze", 1975, significativa anche per gli inserti oggettuali; "La
vita ci chiama a combattere con il pessimismo dell'intelligenza e l'ottimismo
della volontà", 1975) lo spunto ideativo sembra risentire di un certo
schematismo. Non difettano comunque, anche in questa
fase, pezzi di notevole impatto visivo (Senza titolo, 1976; "Lettera
aperta", 1978); una piena integrazione fra gli aspetti semantici e visuali
viene poi ritrovata nel lavoro che idealmente conclude la retrospettiva che il
Museo ospitera' sino a fine gennaio: "In viaggio nella vita" (1983),
un collage di frammenti bruni di carte affiorate da un archivio familiare, ci
restituisce "la traccia di quel modo complesso, contraddittorio, spesso
ambiguo, sempre ricco di livelli di significato che caratterizzava anche nella
vita lo stile dell'artista". (novembre 1988) >>> TORNA ALLA PAGINA
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