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Mirella Bandini (con Yan Ciret e Sandro Ricaldone) alla presentazione di "per una storia del Lettrismo" Galleria Peccolo, Livorno, giugno 2005
MIRELLA BANDINI. PER UNA STORIA DEL LETTRISMO
di Sandro Ricaldone
Fra i movimenti artistici sorti negli anni immediatamente successivi alla conclusione del secondo conflitto mondiale il Lettrismo occupa senza dubbio un posto di primo piano. Alla sua importanza storica ed alla sua influenza, talvolta decisiva, su altre tendenze posteriori non corrisponde però una notorietà né una considerazione storico-critica adeguata, tanto che una delle prime rassegne sul gruppo negli Stati Uniti, allestita nel 1985 presso la Franklyn Furnace di New York, la segnalava come “the unknown avant-garde”.
Introdotta nel contesto italiano alle soglie degli anni ’60 dagli scritti di artisti impegnati nel campo della scrittura visuale (Martino e Anna Oberto, in primis), oltre che da alcune esposizioni organizzate da Michel Tapié all’I.C.A.R. di Torino, la conoscenza del movimento fondato nel 1946 da Isidore Isou - appena giunto, poco più che ventenne, a Parigi dalla Romania - ha ricevuto un primo organico inquadramento nel volume L’estetico, il politico, apparso nel 1977, nel quale Mirella Bandini ricostruiva il complesso iter costitutivo dell’Internazionale Situazionista che nel Lettrismo trova, insieme a Cobra, la sua principale radice.
In sostanziale concomitanza con talune interessanti iniziative espositive svoltesi negli ultimi anni in Italia e in Francia, la rilevanza del contributo lettrista all’evoluzione delle arti del ‘900 sembra aver trovato riconoscimento - la studiosa torinese propone oggi, con il volume Per una storia del Lettrismo (Tracce Edizioni, Piombino 2005), un nuovo e più articolato studio sull’argomento.
A partire dalle prime fasi dell’attività lettrista, legate principalmente all’attività poetica, l’autrice traccia i contorni di un percorso complesso che dalla scissione del verso e della parola approda alla “lettera” come materiale lirico e musicale primario, portando a compimento un processo di scomposizione inaugurato da autori come Baudelaire, Verlaine e Rimbaud ed approfondito in ambito futurista e dada, per estendersi poi – attraverso la scrittura - al dominio plastico, che l’impiego del segno alfabetico riscatta dal dualismo figurazione-astrazione. “Per Isou – annota la Bandini – si pone il problema: accettare l’abolizione e la morte della pittura o scoprire un’altra rappresentazione provvista di due particolarità, simmetrica e trascendentale, che permettano una riserva di percorsi inediti”, una “bocca” aperta sulla tela, uno “sconosciuto selvaggio” da dominare, oltrepassando la dimensione del piacere estetico.
Queste posizioni aprono la via all’unificazione dei campi letterario e visivo nell’ipergrafia che associa lettere e immagini, dando vita ad una nuova forma di romanzo (i cui incunaboli sono, all’inizio degli anni ’50, Les journaux des Dieux di Isou, Saint-Ghetto-des-Prets di Gabriel Pomerand e Canailles di Maurice Lemaître) destinato a travalicare la pagina per aprirsi alla tridimensionalità “per andare nella strada e divenire evento pubblico”.
Il sovvertimento delle discipline artistiche tradizionali (fra cui danza, teatro, fotografia, architettura) raggiunge risultati particolarmente significativi nel cinema, ove l’aggressione all’immagine attraverso macchie, incisioni, sfocature ed il “montaggio discrepante” (nel quale i materiali visivi sono dissociati dalla colonna sonora) determina nel Traité de bave et d’eternité di Isou e in Le film est dejà commencé? di Lemaitre (entrambi del 1951) una situazione limite, cui Guy Debord darà estremo suggello con le inquadrature bianche e nere (queste ultime senza audio) del suo Hurlements en faveur de Sade (1952).
L’esplorazione lettrista segue tra gli anni ’50 e ’60 piste ramificate che si nutrono di un’elaborazione teorica particolarmente fertile: da un lato, attraverso l’estetica immaginaria o infinitesimale, dischiude un “universo ... composto da particelle prive di senso immediato che consentono di immaginare elementi inesistenti o possibili”, preannunciando le pratiche dell’arte concettuale; dall’altro l’inclusione di ogni tipo di supporto (meca-estetica) e l’apertura verso la dimensione-tempo (cadre supertemporel) sfocia “in un ritorno all’immediatezza, alla fisicità percettiva, sensoriale, estetica, dell’ambiente e del corpo” che precorre l’assemblage novorealista, la body art e la pratica dell’installazione.
Di questo complesso orizzonte speculativo, sintetizzato da Isou nel monumentale volume della Creatique (2004), l’autrice rende conto in modo agile, segnalando – accanto agli scandali, alle scissioni, alle polemiche contro i “plagi” dei cineasti della Nouvelle Vague o la pretesa regressione dei Situazionisti – il peso premonitore delle intuizioni sociologiche di Isou, che nel Manifeste du Soulèvement de la jeunesse (1947) e nel Traité d’économie nucleaire (1949) individua lucidamente il potenziale rivoluzionario della gioventù, unico soggetto realmente “esterno” alle dinamiche del sistema.
L’ultima parte del volume è dedicata agli sviluppi del Lettrismo, entrato ormai nel suo settimo decennio, ed alle biografie di alcuni dei suoi più notevoli esponenti, da Roland Sabatier ad Alain Satié, da Micheline Hachette ad Anne-Catherine Caron: un repertorio che avvia una ricerca da estendere in futuro per rendere compiutamente la ricchezza di questa iperavanguardia che – secondo un’affermazione di Maurice Lemaître – si è proposta sempre come “un’ortodossia che ingloba e sollecita le eresie”.
(dicembre 2005)
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