Gil J. Wolman - Art Scotch


CE QUI RESTE
GIL J. WOLMAN E L'ART-SCOTCH

di Sandro Ricaldone



La création c’est aussi ce qui reste quand les demenageurs sont passés
Gil J. Wolman, « Voir de mémoire », 1995


« Il 18 maggio 1963 per mezzo di un nastro adesivo strappo lo stampato d’una pagina di giornale. Ottengo una scrittura ordinata sulla superficie piana di una nuova dimensione effettiva. Scopro il divenire di quella che chiamo art-scotch nella scelta dei diversi fatti quotidiani, delle modalità di stampa e la qualità degli inchiostri, la scelta degli impulsi comunicati dal gesto che fissa e strappa. E’ in questo spazio-successivo che l’occhio percorre l’art-scotch » (1).
Un caso, probabilmente. Ma un caso sicuramente provocato: sebbene solo trentaquattrenne, nel 1963 Wolman aveva già da tempo – per parafrasare una sua espressione nonchalante – partecipato a talune manifestazioni e incontrato alcune persone. La biografia, leggendaria ma non troppo, comparsa sul numero de l’ “Internazionale Lettriste” del settembre 1953, lo descrive come “giornalista a Combat, membro delle Jeunesses Communistes, capitano sulla Rose Bayadère, tricoteur, cacciatore d’Africa nella Germania occupata, poeta al C.N.E., trafficante nella casbah d’Algeri, camionista tra Capo Nord e Pompei” (2). E, di seguito, discepolo ribelle di Isou, inventore della megapneumia, arte del soffio, nata dalla separazione delle consonanti dalle vocali, autore con Jean-Louis Brau del saggio “Per una morte sintetica”, cineasta con l’ “Anticoncept”, film ad una sola immagine, co-fondatore – con Debord, Brau e Serge Berna – appunto dell’I.L..
Alla carriera di questo “decano di 24 anni” il decennio successivo apporta esperienze decisive. La teorizzazione del détournement (3), condotta con Debord sulle pagine de “Les lèvres nues”; le prove delle métagraphies influentielles (4), precorritrici delle modalità della Poesia Visiva e del racconto-collage “J’écris propre” (5); la sortita ad Alba, al Primo Congresso Mondiale degli Artisti liberi organizzato nel 1956 da Jorn, Gallizio e Simondo, dove si realizza quell’avvicinamento con il Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista che porterà alla fondazione, l’anno successivo, dell’Internazionale Situazionista, di cui non sarà partecipe, escluso in limine da Debord.
Gli anni che seguono potrebbero esser letti come un periodo di sbandamento e forse lo sono. Si riaccosta al gruppo lettrista, pur rimanendo su posizioni indipendenti (darà vita nel 1962, con François Dufrêne e Brau alla D.I.L., Deuxième Internationale Lettriste), svaria dapprima nel tachisme, per offrire poi una sequenza straordinaria di tele graffite, percorse da segni e scritture illeggibili; inventa, con la “bande à canson”, il prototipo di un fumetto composto unicamente di parole indecifrabili. Ma si tratta, nello stesso tempo, di un periodo di esplorazione, in cui Wolman cerca una strada (la sua sortie de sécours ? (6)) per fare arte dopo la profezia del suo superamento.
In questa ricerca il suo essere un “pittore di tradizione orale” (7), per di più in lotta contro il potere della parola, lo pone in una posizione privilegiata. I suoi materiali non sono quelli tradizionali della rappresentazione (“l’interesse di una tela è inversamente proporzionale all’importanza del materiale utilizzato” (8), diceva), ma i tratti effimeri della vita quotidiana, gli scarti della comunicazione, gli spazi inavvertiti. I suoi cicli di lavoro non elaborano soggetti determinati ma esplicitano situazioni e strategie, o forse definiscono - attraverso le loro connessioni - una strategia multilaterale che potrebbe essere assunta come emblematica della seconda modernità (9).
Molte delle esperienze precedenti si riverberano nell’art scotch: il cut-up, lo smembramento della parola e l’attentato all’integrità dell’immagine; il cinema, simulato nella pellicola adesiva; l’ambiente urbano della deriva. Mentre la nuova impaginazione produce il détournement dell’ “elemento banale, dimenticato, spogliato dei suoi diritti” (10), introducendolo, sia pure precariamente, in una dimensione memoriale.
In questo senso si esprime Alain Jouffroy, che vi coglie “il sussurro delle notizie perdute, dimenticate” (11). E Greil Marcus, secondo il quale “le immagini dell’art-scotch aprono su quello che chiunque appartenga al mondo moderno ha già visto e dicono che un dato avvenimento esiste solo attraverso i titoli che l’annunciano e che questi titoli, nel momento stesso in cui appaiono, appartengono già ad un passato di cui non si sa come mantenere il ricordo” (12). Mentre per Piero Simondo le immagini-scotch di Wolman denunciano i filtri inconsapevolmente messi in opera nel nostro sguardo: “mettono in crisi l’enigma (del visibile) e del simulacro. Obbligano se non altro a guardare, e talvolta a vedere” (13).
Se nell’art-scotch, come s’è accennato, s’intravede un elaborato e inventivo résumé des chapitres précédents, vi si scorge nel contempo una prefigurazione del cammino a venire, in particolare del fondamentale ciclo delle séparations (1977-78). Giacché il procedimento comporta appunto un distacco delle immagini e delle parole, del frammento cartaceo e degli inchiostri, dal loro naturale contesto. Una lacerazione che nella prima, più radicale modalità operativa di questa tecnica (con l’applicazione – talvolta diretta, in altri casi distanziata da elementi-ponte – del nastro adesivo e dell’immagine retrostante su un angusto supporto verticale) dà luogo ad uno spazio scompartito in due estensioni senza confine, una condizione che torna, rovesciata, nei lavori dei tardi anni ’70, dove a definire lo spazio sono invece i limiti esterni dell’immagine divisa e disgiunta al centro. Mentre il complesso intreccio, al ciglio del disordine, della storica installazione di art-scotch presentata nell’ottobre 1964 presso la Galerie Valerie Schmidt, con i listelli ammonticchiati contro le vetrine, sembra preludere alle serie dei dechets d’oeuvres (1981) o di W la libertà (1982), dove le righe di un volume - ritagliate una ad una - sono raccolte alla rinfusa fra due vetri.
Infine si potrebbe azzardare che lo strappo e la sezione verticale del primo tempo dell’art-scotch abbiano una componente od un’equivalenza temporale; che stabiliscano una divaricazione fra un prima e un dopo, in una sorta di poetica dell’intervallo, l’entre-temps che (focalizzato sull’intermezzo fra un’esposizione e l’altra) diviene nel 1994 il tema di un’esposizione alla Galerie Satellite.
L’articolata rete di rimandi ad esperienze antecedenti e di proiezioni verso gli sviluppi ulteriori sottesa ad un gesto elementare come il fissaggio e il distacco d’un lembo d’immagine (operazione che, in una fase successiva, nei più estesi accumuli su tela di bande orizzontali, si aprirà ad uno sfondo tematico) non va però intesa nei termini d’un rigido concatenamento del pensiero, bensì – piuttosto – come una sorta di flusso ondulatorio in cui ciò che torna non è mai eguale e quel che si annuncia sarà comunque diverso. Lo stesso Wolman lo rimarcava quando – collocandosi agli antipodi “di coloro che hanno fondato il loro carrierismo su una sola gag artistica sfiatata” (14) - affermava che “il genio è rifiutare di fare meglio per fare altro” (15). O quanto opponeva “a un’idea significata e definita, l’indefinito di un’idea significativa”, il disdire al dire, il de-pingere al dipingere, con la consapevolezza sempre più acuta che il lavoro sfugge al suo autore; che (come scriveva, evocandosi in terza persona, in una delle sue rare incisioni) “plus que dans le fait et geste de sa vie il y avait plus de faits dans les gestes qu’il n’avait pas fait” (16).


Note:
1) V. Gil J. Wolman, “Resumé des chapitres precedents”, Editions Spiess, Paris, 1981, pag. 84.
2) “Doyen des lettristes Wolman à 24 ans”, “Internationale lettriste”, settembre 1953. Testo ripreso in “Documents relatifs à la fondation de l’Internationale situationniste. 1948-1957” a cura di Gérard Berréby, Éditions Allia, Parigi 1985, pag. 281
3) Guy-Ernest Debord et Gil J. Wolman, “Mode d’emploi du détournement”, in “Les Lèvres Nues” n. 8, maggio 1956.
4) Esposte nella collettiva “Avant la guerre”, Galerie du double doute, Parigi 1954.
5) Gil J. Wolman, “J’écris propre” (récit detourné), in “Les Lèvres Nues” n. 9, novembre 1956.
6) E’ il titolo della personale di Wolman al Salon Comparaisons del 1960 (Musée d’Art Moderne, Parigi, 12 marzo – 3 aprile).
7) Gil J. Wolman, testo redatto in occasione della mostra “Main basse sur la vi”, Galerie Valerie Schmidt, Parigi 27 settembre – 21 ottobre 1972.
8) Ibidem
9) E’ il nome del sito web promosso da Lionel e Jacques Spiess, per accrescere la notorietà degli artisti difesi dalla Galerie Spiess. La denominazione è ispirata all’analisi proposta dal critico Pierre Alibert in occasione della mostra “La forme”, tenuta nel 1984 alla Galerie Spiess: “La seconda modernità, come tutte le avanguardie recenti, si esprime senza unità né sincronismo. Riconosce di esser stata preceduta da un primo tempo, da un primo tentativo. Che dice? Che bisogna ricostruire la pittura …”
10) V. nota 6.
11) Alain Jouffroy, “Vive Wolman”, in “Opus International” n. 39, décembre 1972.
12) Greil Marcus, “Joseph Wolman. Art Scotch”, in “Wolman. Defense de mourir”, Éditions Allia, Parigi 2001, pag. 348
13) Piero Simondo, “Gil J. Wolman: le contradicteur”, ibidem, pag. 345.
14) Guy Debord, “De l’architecture sauvage”, in “Jorn / Le jardin d’Albisola”, Edizioni d’Arte Fratelli Pozzo, Torino 1974, pagina 42 (non numerata).
15) “Wolman: le genie c’est refuser d’avoir du talent”, intervista con Charlotte Mandel pubblicata in “L’art et la mode”, aprile 1975.
16) Wolman, “La vie vraie - II”, acquaforte 65 x 50 cm., tiratura 50 esemplari, 1981.

 

  (2006)

  (Testo Catalogo mostra Galleria Peccolo - Livorno)



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