NIKI DE SAINT PHALLE

 

Nel monitor installato nella prima sala del Museo d’arte moderna e contemporanea di Nizza scorrono le immagini di una ragazza dall’apparenza fragile, intenta a fissare su un pannello degli oggetti raccolti chissà dove: bottiglie, brocche, bambole che ricopre poi d’uno strato di gesso bianco.  E’ Niki de Saint Phalle, ripresa in studio all’inizio degli anni ‘60 mentre realizza uno dei suoi assemblages. Una ripresa intrigante, ma non l’autentica sorpresa che interviene quando la scena si sposta nel cortile: Niki, ancor più esile en plein air, impugna con determinazione una carabina. E spara, un colpo dietro l’altro, sul quadro, facendo sgorgare a fiotti dalle “ferite”, i colori nascosti nelle cavità degli oggetti.

Iniziato sotto il segno del metaforico sterminio dell’arte, il suo percorso – documentato puntigliosamente nelle centosettanta opere donate alla città di Nizza, che le espone al MAMAC, con un altro centinaio di lavori, fino al prossimo 27 ottobre – si è sviluppato attraverso avventure individuali e collettive, in cui l’artista ha mantenuto un’impulsività caratterizzata, secondo Catherine Francblin, da “qualcosa di primitivo, d’insolente e di selvaggio, celebrato in un’atmosfera da festa popolare”.

Coinvolta, anche attraverso il legame con Jean Tinguely (il famoso creatore di fantasiose opere in movimento) nel Nouveau Réalisme, corrente artistica promossa nel 1960 da Pierre Restany come espressione di un nuovo approccio percettivo aperto al mondo, la Saint Phalle lascia ben presto le sue esercitazioni di tiro, in cui aveva coinvolto il pubblico delle mostre tenute fra il ’61 ed il ’62 presso la Galerie J di Parigi (“Feu à volonté”), la galleria Dwan di Los Angeles (“Tir Monumental”) e la Galerie Alexandre Jolas di New York.

Già nel 1961, infatti realizza con Tinguely, su invito di Salvador Dalì, “Toro de fuego”, una scultura in gesso e cartapesta, imbottita di fuochi d’artificio, fatta esplodere in uno sfavillio di luci e di colori al termine di una corrida a Figueras. E nel 1963 intraprende una riflessione sui ruoli femminili che la porta a dar vita ad una serie di sculture di donne partorienti, madri divoratrici, streghe e prostitute, e – dopo un’ulteriore elaborazione – alle famose “Nanas”, veneri moderne nei panni di ragazze da marciapiede deformate nelle proporzioni, figure vivaci e voluttuose in cartapesta dipinta, la cui esposizione, avvenuta nel 1965, a Parigi, fece scandalo.

Scandalo replicato l’anno successivo dall’allestimento con Jean Tinguely e Per Olof Ultvedt al Moderna Museet di Stoccolma, di “Hon” (“Lei” in svedese) una gigantesca “Nana”, distesa sul dorso con le gambe piegate, al cui interno si accedeva attraverso il sesso e che ospitava una finta galleria d’arte, una panchina per gli innamorati, un cinema in cui veniva proiettato il primo film di Greta Garbo, un bar e persino una terrazza panoramica. Insieme all’indignazione (che fece rischiare il posto di direttore a Pontus Hulten) il successo fu enorme: in tre mesi, prima della distruzione, più di centomila visitatori entrarono in questa effigie moderna della grande Dea Madre, “dipinta come un uovo di pasqua”, alla cui influenza qualcuno ha attribuito la crescita della natalità registratasi in Svezia in quel periodo.

E le “Nanas” si affollano ora nelle sale del Museo di Nizza, insieme ad altri soggetti celebri di Niki: “Rhino” (1995), uno strano rinoceronte multicolore, “The Desert Lady” (la Signora del Deserto, 1993), i “Black Heroes” (1995) in poliestere, nel cui ambito figura Josephine Baker, mentre sulla terrazza antistante campeggia “Le monstre du Loch Ness” (1993) una scultura alta tre metri e lunga cinque, rivestita di frammenti di specchio.

A caratterizzare gli ultimi anni di attività dell’artista sono però le grandi opere ambientali. In primo luogo il “Giardino dei Tarocchi”, costituito da ventidue sculture ispirate agli Arcani maggiori del gioco, installate a partire dal 1978 a Garavicchio, presso Capalbio, nella tenuta di Carlo e Nicola Caracciolo. Qui l’artista ha dato sfogo ad un’aspirazione maturata negli anni ’50, visitando il Parco Guell di Antoni Gaudì a Barcellona e il Palazzo Ideale di Joseph Cheval ad Hauterives. Il Pazzo, la Pretessa, la Morte, l’Imperatrice, L’Eremita, la Torre si assembrano nel parco creando un ambiente fiabesco ed intrigante, unico nel suo genere. Quindi la “Fontaine Strawinsky” realizzata con Tinguely nelle adiacenze del Beaubourg e “L’Arca di Noè”, un parco giochi progettato con l’architetto Mario Botta per lo Zoo di Gerusalemme, rappresentato in mostra da numerosi bozzetti in scala ridotta.

Proprio nel corso dell’antologica dedicatale a Nizza, il 21 maggio scorso, Niki de Saint Phalle è scomparsa a settantun’anni nella sua casa di La Jolla, in California, dove si era stabilita trovandovi un clima più congeniale alle sue condizioni di salute, rese precarie dall’inalazione di polveri e vapori sprigionate dai materiali utilizzati nel suo lavoro. Le Monde, nel rievocarne la figura, ha titolato: “Niki de Saint Phalle ha lasciato orfane le sue Nanas”.

Di lei rimane, oltre al ricordo di una donna che ha intrapreso con i mezzi dell’arte intense battaglie contro la discriminazione femminile e la diffusione dell’AIDS, un’opera vasta, concentrata - grazie una generosa ed accorta politica di donazioni – non solo, come già s’è detto, al MAMAC di Nizza ma presso il Museo Sprengel di Hanover ed il Museo Niki a Nasu, in Giappone.



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