RAYMOND HAINS OU L’ÉCLATEMENT DE LA RÉALITÉ

di Sandro Ricaldone





Raymond Hains e Jacques Villeglé, Ach Alma Manetro, 1949

 

Quando Raymond Hains arriva a Parigi dalla Bretagna, nell’ottobre 1945, è un giovane di vent’anni, con alle spalle un regolare ciclo di studi liceali e un anno d’accademia, a Rennes, dove ha praticato la scultura. A spingerlo nella capitale francese è l’interesse per la fotografia, che coltiva ritraendo le rovine belliche: facciate superstiti che si ergono in mezzo al nulla, mura sbriciolate, fondamenta spoglie. Va a cercare Emmanuel Sougez, autore dell’immagine riportata sulla copertina del volume La photographie française 1839-1936, intravista l’anno precedente a Laval, un fotomontaggio in cui campeggiano una schiera di obiettivi che incorniciano occhi rivolti allo spettatore. L’incontro con l’eminenza grigia della photographie pure permette al giovane Raymond di lavorare per qualche tempo nel servizio fotografico della rivista France-Illustration e gli fornisce stimoli per alcuni fra i suoi primi lavori,  imperniati sulla moltiplicazione del motivo, come si può riscontrare in due opere del 1947, Composition aux miroirs e La main multiplié par un jeux de miroir. Quest’ultima, in seguito, verrà scelta per illustrare La vie secrète de Salvador Dalì, offrendo ad Hains l’occasione di una polemica a distanza con l’autore catalano, riflessa in una lettera aperta pubblicata su “Combat” nel maggio 1955, con un titolo (Flagrant Dalì) che distorcendo l’espressione flagrant délit, rivela – ancorché l’ideatore fosse stato François Dufrêne – la propensione dell’artista per il calembour. In breve, però, le prove di Hains attingono uno sperimentalismo più spinto. Grazie all’utilizzo di vetri scanalati reperiti nel laboratorio del padre – che, posti davanti all’obiettivo, deformano l’immagine sino a renderla irriconoscibile, inquadrandola in una compatta griglia lineare - approda ad una fotografia spogliata dei suoi tratti mimetici, prossima all’astrazione e rivelatrice di una realtà differente. I lavori realizzati con questa tecnica, che progetta di sistematizzare attraverso la costruzione di un’apposita apparecchiatura denominata hypnagogoscope (1), vengono esposti nel giugno 1948 nella galleria parigina di Colette Allendy (2), vedova del celebre psicanalista (3) che, fra gli altri, aveva in cura Antonin Artaud e gli varranno in seguito l’appellativo di “Raymond l’abstrait” attribuitogli, si dice, da Guy Debord.>
Nel suo resoconto su Combat, Charles Estienne, uno dei maggiori critici dell’epoca, annota: «Le fotografie di Hains cercano di incitarci al sogno e, attraverso la luce materiale, di rendere la luce interiore» (4), mentre Pierre Descargues commenta su Arts: «Hains compone le sue tavole secondo ritmi ripetuti. Giocando volta a volta su elementi umani o con linee luminose, va da un’opera di spirito surrealista ad un’esecuzione astratta» (5).
Il titolo della mostra, Obsessions, déformations et abstractions en vue de cinéma apre una finestra verso l’esperienza cinematografica, affrontata da Hains in collaborazione con l’amico Jacques Villeglé, che aveva incontrato a Rennes nel 1945. Per quattro anni, dal 1950 al 1954, i due si cimenteranno con la realizzazione di un film astratto, che proprio per la sua interminabilità verrà chiamato Penelope (6).
Intanto l’applicazione deformante dei verres cannelés al testo scritto - approfondita nuovamente con Villeglé – dischiude un nuovo campo di ricerca, segnato dal passaggio «dal leggibile all’illeggibile», al confine fra «la lettre et le néant» (7). I due giovani artisti sottopongono al procedimento ipnagogico un breve testo fonetico di Camille Bryen, poeta e pittore surrealista indipendente, che Hains aveva conosciuto nel luglio 1948 alla Galerie Allendy, in occasione della collettiva Tapisseries et broderies abstraites(8), in cui l’artista nantese esponeva la sua Broderie du feu (9), un frammento di tenda bruciata nell’incendio della sua stanza. Ne scaturisce un volumetto, Hépérile éclatè, che dopo lunga gestazione vedrà la luce nel 1953, per i tipi della Librairie Lutétia. Bryen licenzia questo «premier poème à dé-lire» (10) con un pizzico di retorica: «oggi, grazie a raymond hains e a jacques de la villeglé, i due cristoforo colombo delle “ultra-lettere”, ecco il primo libro felicemente illeggibile. (…) Hépérile éclaté, nuovo grado poetico, fa riapparire il non-umano (11) inesplicabile attraverso il macchinismo superato» (12).
Più ancora dell’accostamento al Lettrismo (13) e delle suggestioni di Artaud e di Francis Ponge (14), il rapporto con Bryen si manifesta ricco di stimoli, che si esplicano anche in direzioni diverse dal fonetismo e dal lavoro sul segno alfabetico. Oltre all’ascendente che può aver esercitato la scoperta della già ricordata Broderie du feu, per la sua conformazione di frammento carpito ad una quotidianità deteriorata, nella postfazione alla Anthologie de la poésie naturelle (15), apparsa nel 1949, possiamo infatti leggere: «I manifesti strappati nella strada (16), le canzoni dei sobborghi le cui parole dimenticate producono una strana melopea, le pitture idiote, i poeti che non hanno sacrificato né alle esigenze temporanee della lingua né alla sua ortografia puerile, i discorsi infantili, i giochi del medium, i vetri spezzati secondo strutture bizzarre, ecco alcuni dei veicoli che ci conducono ai territori della poesia naturale” (17).
Ciò che per Bryen era “un’accezione della poesia nuda e primaria”, che doveva essere “fatta non solamente da tutti (18), ma soprattutto da TUTTO” (19), per Hains diviene approccio concreto. “Hains, fotografo e cineasta - riporta Alain Jouffroy - percorreva in lungo e in largo le strade della città, quando un giorno, alla fine del 1949, guardando un manifesto strappato su una palizzata in fondo a rue de Rennes, nell’area del Supermag, provò quello che i buddisti zen definirebbero il satori: l’occhio strappato di una donna lasciava intravedere le lettere del manifesto sottostante (20). Hains staccò il manifesto (21) e ne parlò subito con Villeglé, che allora si trovava a Nantes – sempre Nantes, la città di Vaché e di Péret – il quale, immediatamente, perviene alla stessa conclusione dell’amico, nel medesimo spirito di derisione della pittura – quella pittura astratta o semi-figurativa che si faceva allora e che, bisogna dirlo, non apportava granché alle scoperte dei pittori dell’anteguerra» (22).
Wols, nel 1938-39, aveva già fotografato muri e palizzate coperte di manifesti lacerati (23), mentre nell’Anthologie de la poèsie naturelle erano state incluse alcune foto di Brassaï che ritraevano muri sbreccati o coperti di graffiti, ma il gesto di Hains, assumendo direttamente un brano di realtà urbana, rivestiva un significato più profondo e sconcertante. Conseguenza repentina della scoperta è la realizzazione a quattro mani, da parte di Hains e Villeglé, di un’opera di due metri e sessanta centimetri di lunghezza, una sorta di Tapisserie de Bayeux (24) in scala ridotta: Ach alma manetro (1949), un assemblaggio nel quale, ancora una volta, si dispiega un testo illeggibile, composto di parole e di lettere frammentate. In seguito l’utilizzo del manifesto strappato come “materia pittorica”, secondo un criterio in linea di principio non troppo dissimile, anche se portato ad un’evidenza nuova e ad un livello d’intensità esasperato, dal collage cubista e dada, si radicalizza attraverso una presentazione telle quelle, così che «laddove i loro predecessori mostravano quadri costituiti da frammenti di realtà, è la realtà stessa che (Hains e Villeglé, n.d.r.) elevano, per parte loro, al rango di quadro, è il mondo stesso che invitano a guardare come un dipinto» (25). «Vale a dire – chiosa Villeglé – (il mondo) quale ci appare, quale, nella sua inaccessibilità, l’immaginiamo» (26). Ed è per differenziarsi, in quest’ottica, dalle concezioni pittoriche antecedenti che Hains, con l’ennesimo calembour, battezzerà nel 1958 un suo lavoro Décollage pour le Cinquantenaire de l’Aeronautique (27), reintroducendo un termine destinato da allora ad entrare stabilmente nel lessico delle arti.
La prima esposizione delle affiches lacerées di Raymond Hains e Jacques Villeglé ha luogo a distanza di più di sette anni, nel maggio 1957, ancora nella galleria Allendy, sotto il titolo Loi du 29 juillet 1881 (28). «Colette Allendy era delusa perché non avevo esposto la palizzata, ma non avrei saputo dove metterla – ricorda Hains – salvo forse nel piccolo giardino all’entrata della galleria. Villeglé, dal canto suo, aveva presentato dei manifesti su due tavole che trovavo piuttosto interessanti» (29).
Gli eventi prendono allora un corso più rapido. Nel 1958, sul secondo numero di Grammes, revue du Groupe Ultra-Lettriste, Villeglé pubblica il primo testo teorico dedicato al décollage: Des Réalités collectives. Vi annota, fra l’altro: «Ai collages nati dal gioco di una pluralità di attitudini possibili, i manifesti lacerati, manifestazione spontanea, oppongono la vivacità immediata che ci rivelano da dieci anni. Accusando il colpo, siamo partiti alla raccolta. Alla raccolta di questi oggetti “altri”. Preservandoli da qualunque apporto impuro» (30). L’anno seguente nello studio di Dufrêne in rue Vercingetorix va in scena in giugno Laceré anonyme, che sancisce l’ingresso in campo, a fianco dei due ravisseurs di manifesti già consacrati, dell’ex lettrista e leader del Soulevement de la Jeunesse, con i dessous d’affiches scoperti con Hains negli Entrepôts Bompaire.
Il 2 ottobre 1959 André Malraux inaugura al Musée d’Art Moderne la prima Biennale di Parigi. Ad invitare il gruppo degli affichistes è il pittore Georges Noël, artista nella cui opera incentrata sul segno e la scrittura aveva trovato spazio l’uso di materiali di recupero. Hains vi presenta la Palissade d’emplacements reservés che viene subito identificata come una delle opere-chiave dell’esposizione. «Questa famosa palizzata - commentava il critico di Combat, Claude Rivière – sta lì, come una presenza della Francia lacerata (31), quella Francia che certuni vorrebbero annientare e che, grazie a queste giovani avanguardie, è invece lungi dal perire». E Pierre Restany scriverà più tardi: «Il mondo intero è un quadro e la palissade non è un tipo di pittura ma la pittura a portata di mano (…) La palissade con i suoi lembi di carta strappata, rappresenta un passo in avanti nell’operazione “affichiste” perché l’immagine lacerata è presentata sul suo supporto originale». Hains tuttavia, refrattario ai clichés, e incline – come già si è potuto vedere – ai giochi di spirito, nel marzo successivo espone al Salon Comparaisons un’immagine tratta dall’Enciclopedia Clartés, notata casualmente in una vetrina, la fotografia, abbastanza chiassosa, degli Entremets de la palissade, un dolce con panna e lamponi circondato da una “palizzata” di biscotti, opera che indurrà Daniel Spoerri a classificarlo come il lucido precursore dell’arte commestibile”.
È in occasione di una mostra collettiva allestita nel maggio del 1960 presso la galleria Apollinaire di Guido Le Noci a Milano, che la denominazione Nouveau Réalisme fa la sua prima comparsa. E il 27 ottobre, in casa di Yves Klein, viene fondato il gruppo dei nouveaux réalistes con la partecipazione di Arman, Dufrêne, Hains, Yves Klein, Martial Raysse, Spoerri, Tinguely e Villeglé, oltre che, ovviamente, di Restany (32). La dichiarazione costitutiva, alquanto sintetica, si chiude sull’affermazione: «Nuovo Realismo = nuove approssimazioni percettive del reale». Del ’61 è la mostra di gruppo À 40° au-dessus de Dada che inaugura la Galerie J., aperta da Janine de Goldschmidt, moglie di Restany, per promuovere la tendenza. Nonostante il dissenso nei confronti della presentazione redatta per l’occasione da Restany (33), cui imputa di aver stabilito un improprio collegamento fra il dadaismo duchampiano e le istanze novorealiste,  Hains vi tiene la mostra successiva, La France dechirée, dove espone una raccolta di manifesti politici di diverso orientamento, strappati dai passanti. Iniziano in questo torno di tempo le sue partecipazioni a mostre di respiro internazionale, come Bewogen Beweging (34) (il movimento nell’arte) allo Stedelijk Museum di Amsterdam e The Art of Assemblage (35) al MoMA di New York, dove espone anche l’anno seguente nella collettiva The New Realists alla Sidney Janis Gallery (36).
Nel 1963 diviene conclamato il disaccordo degli affichistes con l’inquadramento critico di Restany, cui rimproverano una lettura condotta «sotto l’angolo ottuso della sociologia e sotto la tesa di Dada» (37), che mette in ombra il senso autentico del gesto di appropriazione, il cui tratto «fenomenologico, sociologico ecc.» non può far dimenticare l’appartenenza fu «al dominio della sorpresa poetica» (38). In questa congiuntura Hains presenta al Salon Comparaisons un’opera gigantesca - Néo-Dada emballé ou l’art de se tailler en palissade, progettata con Christo (che ne realizzò la maquette impacchettando il cavallo a dondolo (39) del figlio) e costruita dall’amico Gerard Matisse con assi di palizzata ricoperte da manifesti lacerati – che si pone come «monumento al Pittore imbavagliato dalla Critica d’Arte» (40). Nel contempo dall’opera traspaiono il riferimento al Cavallo di Troia, dono periglioso collocato non casualmente alla porta del Museo, e l’intento personale dell’artista di scompaginare i contorni di un’immagine del proprio lavoro che giudicava soffocante.
Così, dopo la dissoluzione ufficiale del gruppo, Hains si allontana anche fisicamente dal suo ambito d’azione recandosi in Italia, dove soggiorna dal ’64 al ’71. Qui da vita al ciclo Saffa e Seita (41), presentando le opere di due artisti immaginari, i cui nomi sono ricavati dalle iniziali delle principali fabbriche italiana e francese (42) di fiammiferi: scatole, in formato gigante, appunto di zolfanelli destinati idealmente ad incendiare le palizzate. E lavora sull’immagine della Biennale, proponendone una versione dechirée alla Galleria Apollinaire nel 1965 ed una eclatée, con foto deformate dei cataloghi dei padiglioni nazionali, alla Galleria dell’Elefante, a Venezia, nel 1968.
Frattanto le sue ricerche s’instradano verso una deriva nominalistica, imperniata su casualità e allitterazione. L’esempio più noto è offerto dallo slittamento dalla palissade alla lapalissade, che mette in campo i temi dell’errore, dell’ovvietà e dell’assurdo la figura di Monsieur de La Palice, che l’abbaglio di un copista ha trasformato da eroico comandante in “patrono dei semantici” sostituendo, nella canzone che ne ricordava la morte alla battaglia di Pavia, al distico originario “s'il n'estoit pas mort / il ferait encor envie” il tautologico “s’il n’estoit pas mort / il serait encor en vie” (43). Su questa scorta Hains inaugura un percorso nell’incongruo che lo porta a colloquiare con una discendente del Maresciallo, a compiere una spedizione nella città di Lapalisse, ad effettuare scoperte gastronomico-filosofiche (rintracciando le verités de Lapalisse (44), dolci composti da un involucro di zucchero ripieno di caramello) e via dicendo. Procedimento divagante che verrà replicato con la trasformazione del logo dell’American Express in Armorican Express, ipotetico passaporto della Côte d’Armor, dove si trova Saint-Brieuc, sua città natale, o nell’associazione del marchio Shell a Santiago de Compostela, attraverso l’immagine della conchiglia, icona tautologica della multinazionale e tazza del pellegrino in viaggio verso la tomba dell’apostolo Giacomo.
«L’origine appellativa reale del significante dei nomi comuni e dei nomi propri (teonimi, antroponimi o toponimi) – nota Villeglè - è per Raymond l’Onomaturgo, preoccupazione insignificante. Al modo stesso in cui viaggia nel tempo senza curarsi della cronologia, si prende gioco dell’onomastica scientifica a vantaggio di un’onomastica poetica. Bricoleur fonico, vi è tirato per i capelli se gli capita (utilizzando per esempio, sub specie ludi, sinonimi e antonimi parziali) di rimotivare le parole (45). Hains si sforza di ricavare un tratto d’ordine nominalista con tutta l’ambiguità semiotica che il nodo di coincidenze del gioco di spirito comporta. Attraverso la paronomasia e la concatenazione del suo monologo a scomparti, tenta di far esplodere, fra l’altro, l’implacabile determinismo, disciplinato e gerarchizzato dell’arte e della pittura in particolare» (46).
Su questa via Hains procede inarrestabile: discettando di Freud e Leonardo da Vinci alla Galerie Lara Vincy (1976), dando la caccia al CNAC (anziché allo Snark lewisiano) dentro lo stesso CNAC (47) (1976), sostituendo al cavallo la Valise de Troyes (1987), esponendo un Monochrome dans le metro non avendovi trovato l’ethnologue (48), scoprendo che Rotella non è un artista ma una lattina d’olio lubrificante, che Lemot non è laparola ma uno scultore lionese, facendo marciare la gigantessa Iris Clert per le vie di Blois e di Kassel, rendendo omaggio al Marquis de Bièvre, codificatore del calembour. Senza dimenticare la palizzata (La foire aux skis, 1988) o le immagini eclatées (Échelle optometrique, 1990), ma avanzando risoluto verso nuovi mezzi d’espressione con il macintoshage, accumulo di informazioni visive e verbali ripreso dallo schermo del computer (Les Épitres de l’amant vert, 1999).
Così questo “ministro della propria cultura” ci insegna a scoprire la realtà come linguaggio imprevedibile attraverso i suoi strappi, le fessure nelle palizzate, il retroterra dei brand mercantili, le citazioni: «una sedimentazione di senso che spetta all’artista – e forse a lui solo – di rivelare; di attraversare per trasformare in oggetto di godimento e di stupefazione la magnifica fantasmagoria di un mondo dove tutto significa» (49). 

 

 

Note

1) Dell’hypnagogoscope  (da hypnos, sonno, agogos, che conduce, skopeo, osservo), di fatto non realizzato, rimangono i piani disegnati da Villeglé. Il termine hypnagogique venne introdotto da Alfred Maury nel 1848, per descrivere lo stato allucinatorio che può insorgere nel passaggio dalla veglia al sonno.
2) Colette Allendy (1895-1960), già allieva di Albert Gleizes e Juan Gris, aprì la sua galleria nel 1946 ad Auteuil, al n. 67  di rue de l’Assomption. Vi ospitò gli esordi dell’Abstraction lyrique, artisti del Gruppo Cobra, e, fra i futuri Nouveaux Réalistes, Hains, Villeglé, Deschamps e Klein.
3) René Félix Eugène Allendy (1889-1942), medico omeopata e psicanalista, cofondatore nel 1926 della Societé Psychanalitique de Paris, ebbe fra i suoi pazienti anche René Crevel e Anaïs Nin. Dopo la scomparsa della prima moglie, Yvonne Nel-Dumouchel, ne sposò nel 1936 la sorella Colette.
4) Charles Estienne, Tour d’expositions,  “Combat, 7 luglio 1948.
5) Pierre Descargues, Photographies surréalistes et abstraites de Hains, Arts, 6agosto 1948.
6) Gli spezzoni del film saranno montati nel 1981 da Jean-Michel Bouhours, all’epoca capo del servizio cinema del Centre Pompidou, secondo un criterio di salvaguardia archivistica. In precedenza parte del film era stata proiettata nel corso di una serata nello studio di Marie Raymond, madre di Yves Klein, mentre un estratto di 5’26” era stato sonorizzato nel 1958 da Pierre Schaeffer con il titolo di Étude aux allures e mandato in onda dalla RTF il primo gennaio 1960. Un’ulteriore proiezione frammentaria venne proposta dal Centre Culturel Français di Milano nel 1960.
7) L’espressione riprende per via omofonica il titolo di uno dei più noti saggi filosofici di Jean-Paul Sartre,  L’Être et le Néant (L’Essere e il Nulla), pubblicato nel 1943.
8) V. M. GIROUD, Introduction, in C. BRYEN, Dèsecritures, Les presses du réel, Dijon 2007, nota 16.
9) L’opera fa ora parte delle collezioni del Musée de Beaux-Arts di Nantes.
10) L’espressione gioca sul doppio significato del termine de-lire: disleggere e delirio. 11) Qui il riferimento è all’Abhumanisme, teorizzato successivamente da Jacques Audiberti e dallo stesso Camille Bryen ne L’ouvre-boîte. Colloque abhumaniste (NRF Gallimard, Paris 1952), concezione che anziché porre l’uomo al centro del mondo, “pone il mondo al centro dell’uomo”.  “L’Abhumanisme non codifica né cristallizza, non rifiuta di considerare alcun movimento, alcun itinerario specifico della scienza e dell’intelligenza. Ma non ne predilige nessuno. Per questo è apriscatole e cavallo di Troia” (ivi, p. 47).
12) Cfr. Poésure et Peintrie, cat. della mostra, a cura di Bernard Blistène,  Centre de la Vieille Charité, Marseille, 12 février – 23 mai 1993, p. 270.
13) In un’intervista riportata nel catalogo della mostra François Dufrêne, 1930-1982 (Musée de l’Abbaye Sainte-Croix, Les Sables d’Olonne, 11 giugno – 30 settembre 1988), Hains afferma di aver conosciuto il movimento lettrista nel 1947, attraverso un articolo di Gaston Criel e di aver poi seguito numerosi recitals lettristi. Nel 1954 l’incontro con François Dufrêne (peraltro già conosciuto in precedenza) introduce più direttamente Hains nella cerchia dell’Ultra-lettrismo.
14) R.H. racconta di aver assistito il 13 gennaio 1947, al Théâtre du Vieux Colombier, alla conferenza Histoire vécue d'Artaud-Mômo, Tête-à-Tête di Antonin Artaud. Lo stesso anno assiste a La tentative orale di Francis Ponge (Cfr. P. FOREST, Raymond Hains, uns romans, Gallimard, Paris 2004, p. 60).
15) C. BRYEN et A. GHEERBRANT, Anthologie de la poésie naturelle, K éditeur, Paris 1949.
16) Come non ricordare, più addietro, il passo de L’esthétique de la rue (1900) nel quale Gustave Kahn, citando Roger Marx, annota: “Il manifesto (…) è il quadro mobile ed effimero di un’epoca invaghita della divulgazione e avida di mutamento. La sua arte non ha minor significato né minor prestigio dell’affresco”.
O i versi di Apollinaire in Zone (Alcools, 1913): “Tu lis les prospectus les catalogues les affiches qui chantent tout haut / Voilà la poésie ce matin et pour la prose il y a les journaux”. Da notare anche la consonanza dell’elencazione formulata da Bryen con un noto passo rimbaldiano: “Amavo le pitture idiote,  sovrapporte, le tele decorate dei saltimbanchi, insegne, miniature popolari …” (Cfr. A. Rimbaud, Une saison en enfer, Alliance Typographique (M. –J. Poot et Compagnie), Bruxelles 1873, p. 29). >17) C. BRYEN ET A. GHEERBRANT, op. cit., p. 167.
18) Secondo la nota affermazione di Lautréamont, “La poésie doit être faite par tous. Non par un”, in Poésies II, Librairie Gabrie, Paris 1870, p. 10.
19) C. BRYEN et A. GHEERBRANT, op. cit., p. 168. 20) Un’analoga esperienza era occorsa a Léo Malet che la riferisce nello scritto La poésie mange les murs (1936 ca., ripreso in L. MALET, Œuvres Complètes, T. 1, Robert Laffont, Paris 1990 p. 1058). Nel Dictionnaire abregé du Surréalisme, di André Breton e Paul Eluard, pubblicato nel gennaio 1938 in occasione dell’Exposition internationale du Surréalisme alla  Galerie de Beaux-Arts, alla voce décollage  si legge: “Léo Malet ha proposto di generalizzare il procedimento, che consiste nello strappare un manifesto in modo da far apparire frammentariamente quello (o quelli) che ricopre e da speculare sulla virtù spaesante o sconvolgente dell’insieme ottenuto”. Villeglé, in Laceré anonyme (Centre Pompidou, Paris 1977, pp. 49-51) rende omaggio a Malet ma tiene a differenziare la sua “invenzione poetica” dalla “invenzione plastica” degli affichistes.
21) Paradossalmente Bryen, in un’intervista a Daniel Abadie riportata nel catalogo della mostra dedicata ad Hains dal Musée National d’Art Moderne nel 1976, dirà di non essere “particolarmente eccitato dal fatto di collocare un manifesto strappato in una galleria o in un museo piuttosto che lasciarlo in strada” e solleverà dubbi nei confronti del sopravanzare di un’arte di predazione rispetto all’arte di creazione.
(cfr. J. VILLEGLÉ, Urbi & Orbi, Éditions W, Maçon 1986, p. 93).
22) A. JOUFFROY, Pour une Biennale clandestine, l'Aventure extraordinaire de Raymond Hains et de ses compagnons , Opus International n° 18, 2° trimestre 1970, p. 37 (citato in D. STELLA, Storia del lacerato anonimo, in Jacques Villeglé.
Opere dagli anni ’60 ai 2000, catalogo della mostra, Yvonneartecontemporanea, Vicenza 2011, p. 10). L’immagine di questo “premier morceau d’affiche arraché au coin de la rue Delambre et du boulevard Edgar Quinet” nel dicembre 1949 è riprodotta nel volume di P. FOREST, citato alla nota 14, a p. 80.
23) Vedi D. SCHWARZ, Aperçu historique des affichistes, in Murmures de la rue, Centre d’histoire de l’art contemporain, Rennes 1994, pp. 34 e 37.
24) Il parallelo con la Tapisserie de Bayeux è avanzato da Pierre Restany nel volume Les nouveaux réalistes (Édizions Planete, Paris 1968; trad. it. Il nuovo realismo, Prearo, Milano 1973, p. 33). 
25) C. FRANCBLIN, Les nouveaux réalistes, Éditions du Regard, Paris 1997,  p. 39.
26) J. VILLEGLÉ, Urbi & Orbi, cit.,  p. 30.
27) Hains gioca sull’ambiguità semantica del termine décollage: “scollamento” nel linguaggio comune; “decollo” con riferimento all’aeronautica. L’opera in questione è menzionata da J. VILLEGLÉ in Urbi & Orbi, cit., a p. 30.
28) La legge francese che tuttora regola le affissioni. 29) V. p. 29 del catalogo della mostra di François Dufrêne citato alla nota 13.
30) J. VILLEGLÉ, Des réalités collectives, in “Grammes” n. 2, 1958, p. 11.
31) La France dechirée, sarà poi il titolo della mostra di Hains alla Galerie J. nel 1961.
32) Vedi P. Restany, L’autre face de l’Art, Galilée, Paris 1979, p. 112.
33) Il testo di Restany costituisce il secondo manifesto del Nouveau Réalisme, laddove la prefazione alla mostra del maggio 1960 alla Galleria Apollinaire verrà considerato, sebbene antecedente alla formazione del gruppo, il primo.
34) Bewogen Beweging, a cura di Willem Sandberg e Pontus Hulten, è stata allestita nel 1961 allo Stedelijk Museum di Amsterdam e successivamente al Moderna Museet di Stoccolma.
35) The Art of Assemblage, a cura di William C. Seitz, The Museum of Modern Art, New York, 2 ottobre – 12 novembre 1961.
36) Raymond Hains ha partecipato, in seguito, a numerosissime rassegne internazionali, fra cui la Biennale di Venezia (1976, 1990), la Quadriennale di Roma (1977), Documenta (Kassel 1968, 1997) Projekte Skulptur (Munster, 1997), Biennale di Sidney (1990), Biennale di Istanbul (1995), Biennale di Lione (1997), oltre a molteplici esposizioni tematiche (da Metamorphose des Dingen – Basilea, Berlino, Bruxelles, Milano, Rotterdam 1971-72), Paris-Paris (Parigi, Centre Pompidou, 1991), Poésure et Peintrie (Marseille, 1993) sino alle recenti Gli Affichistes fra Milano e Bretagna (Milano, 2005), Nouveau Réalisme - Revolution des Alltäglichen (Hannover, 2007) e Nuevos Realismos: 1957-62. Estrategias del objeto, entre readymade y espectáculo (Madrid, 2010). In sede museale gli sono state dedicate importanti personali fra l’altro al CNAC (Parigi, 1976),  alla Fondation Cartier (1986), al PS1 (New York 1989),  al Centre Pompidou (Parigi, 1990, 2001), al Portikus (Frankfurt, 1995), al FRAC Champagne-Ardenne (Reims,  1998), al Macba (Barcelona, 1999), al Museu Serralves (Porto, 2000) al Musée d’Art Moderne de Saint-Etienne (2000), al MAMAC di Nizza (2000).
37) Così Dufrêne, in un brano riportato da Catherine Francblin (op. cit., p. 134-135).
38) L’affermazione è di Villeglé (ivi, p. 134). Va aggiunto che, già in precedenza, Hains si era dichiarato “Sigisbée de la Critique”, ovvero suo “cavalier servente”.
39) E’ noto che, secondo la versione fornita da Richard Huelsenbeck, dada in francese significa appunto cavallo a dondolo e che tale parola fu scoperta casualmente da lui e da Hugo Ball, mentre erano intenti a cercare tra le pagine di un vocabolario un nome per la cantante del Cabaret Voltaire, Madame Le Roy.
40) Affermazione dello stesso Hains, riferita da François Dufrêne nel testo Les Entremets de la Palissade, le Néo-Dada emballé et le Sigisbée de la Critique de Raymond Hains pubblicato nell’Encyclopedie des Farces, Attrapes et Mystifications, Jean-Jacques Pauvert editeur, Paris 1964. 41) Ciclo iniziato a Venezia, con la mostra alla Galleria del Leone, nel 1964,  proseguito a Parigi l’anno seguente alla Galerie Iris Clert e nel 1970 a Milano, alla Galleria Blu; in quest’ultima occasione Hains presenta il Disque bleu pour Saffa, con una registrazione fonetica.
42) S.A.F.F.A., Società per Azioni Fabbrica Fiammiferi e Affini; S.E.I.T.A., Societé Nationale d’Exploitation Industrielle des Tabacs et Allumettes.
43) La versione originale recita: “se non fosse morto / farebbe ancora invidia”; quella alterata: “se non fosse morto / sarebbe ancora in vita”.
44) La ricetta è stata creata nel 1922 dal pasticciere Jean Savaudet.
45) Nell’originale francese intraducibile : remotivera les mots, espressione in cui il primo termine contiene il successivo.
46) J. VILLEGLÉ, Urbi & Orbi, cit. p. 38. 47) CNAC: Centre National d’Art Contemporain.
48) Il riferimento è al volume di M. AUGÉ, Un ethnologue dans le metro,  Hachette, Paris 1986.
>49) P. FOREST, op. cit., pp. 186-187.

 



Raymond Hains Avenue d'Italie, 1974

 


(2011)


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