Philip Corner, Villa Croce, 2002


Di che cosa parliamo quando parliamo di Fluxus
di Sandro Ricaldone

Che cosa c'è?
C'è tutto.


W.V.O. Quine

Prima di Fluxus: influenze

Prima di Fluxus: il circo romano, le processioni ecclesiastiche, le fiere, il vaudeville, l’haiku, l’iconoclastia bizantina ... Di rado un gruppo di artisti si è spinto a reclamare ascendenze così lontane e contraddittorie. E forse nessuno può credere, neppure oggi (in particolare in Europa, dove una certa rigidità ideologica - in via di attenuazione nella sfera politico sociale - permane in sottofondo negli schieramenti culturali (1)) come al suo interno potessero operare individui che avvertivano l’influenza delle teorie wagneriane sull’opera d’arte totale e del teatro sintetico futurista o dell’industrial design di marca bauhausiana e del ready-made duchampiano.
I diagrammi disegnati da George Maciunas da cui sono tratti queste notazioni coinvolgono ovviamente una sfera più ampia (le expanded arts) (2) di quella che propriamente concerne Fluxus, ma - a distanza di tempo - si deve convenire che diversi fra i richiami più recenti non costituivano mere espressioni di sintonia creativa ma evidenziavano effettivi materiali di lavoro.
Occorreva però un punto di vista indipendente, un tempo di scoperta comune per poter intendere la sostanziale contemporaneità e la funzionalità reciproca di movimenti che, sebbene insorti a pochi anni di distanza l’uno dall’altro, ad occhi europei apparivano cronologicamente sfalsati e fra loro antagonisti, marcati talvolta da diffidenze generate dalle diverse matrici nazionali. In questo senso la scena culturale americana si presentava come un terreno ideale per riprendere le sperimentazioni delle avanguardie storiche senza troppo discriminare fra l’una e l’altra.
L’emigrazione di artisti europei in America durante il secondo conflitto mondiale già aveva contribuito a rinnovare l’interesse per queste problematiche. Robert Motherwell, esponente della pattuglia newyorkese dell’Espressionismo astratto, aveva pubblicato nel 1951 la sua antologia “Dada Painters and Poets” (3). Ma l’autentico tramite di questa lezione per una parte significativa dei giovani artisti (musicisti, in particolare, ma non solo) risiede nella figura di John Cage.
In un’intervista condotta da Larry Miller nel marzo 1978, pochi mesi avanti la scomparsa, Maciunas accenna ad una delle mappe che costituivano un aspetto non marginale della sua attività come ad un grafico dei “Viaggi di John Cage”, considerati nello stesso modo in cui, dice, “si potrebbe parlare dei ‘Viaggi di San Paolo’”, perché “dovunque andasse, John Cage lasciava dei piccoli gruppi, alcuni dei quali ammettono la sua influenza ed altri no, ma, di fatto, si sono formati dopo la sua visita” (4).
Nella sua propagazione d’idee, Cage traeva alimento dai soggiorni compiuti in Europa prima e dopo la guerra, in Francia, in Italia, in centri di sperimentazione musicale tedeschi come Darmstadt e Colonia non meno che dal suo personale accostamento al Buddismo Zen. La consapevolezza dell’importanza del teatro sintetico futurista e del concretismo dell’ “Arte dei rumori” di Russolo formava parte integrante del suo quadro di riferimento insieme allo schema concettuale del ready-made duchampiano ed alla pratica dadaista del collage. Spunti, questi, che Cage integrava in un personale approccio alla vita ed alla materia artistica imperniato sul rigetto dell’espressione individuale (cui erano finalizzate le sue chances operations) e sull’instaurazione di un rapporto immediato, armonico, con la natura, gli accadimenti e le cose. Per Cage, l’arte aveva il fine di “cambiare la maniera di vedere, di aprire gli occhi della gente perché veda quel che c’è da vedere” (5).
All’epoca (1958) in cui alcuni di coloro che saranno in seguito fra i protagonisti di Fluxus (Dick Higgins, Jackson McLow, Al Hansen e George Brecht) si incontrano nel corso di un seminario da lui tenuto nel 1958 alla New School of Social Research, Cage aveva realizzato diverse fra le sue creazioni fondamentali: dall’invenzione del piano preparato (1938) (6), alle composizioni di “Music of Changes” (1951), dal proto-happening, allestito al Black Mountain College con Merce Cunningham e Robert Rauschenberg nell’estate del 1952 (7), alla presentazione del pezzo silenzioso “ 4’33’’ ” interpretato da David Tudor alla Maverick Concert Hall di Woodstock nell’agosto di quello stesso anno (8) e l’impatto con le sue posizioni già mature risulta decisivo.
Senza dimenticare l’influenza esercitata da un altro grande artista americano come Joseph Cornell (9), in special modo su George Brecht e Bob Watts, appare quindi giustificata l’osservazione di Ben Vautier secondo cui Fluxus non sarebbe esistito senza Cage ed i suoi due “lavaggi del cervello”, “il primo in ambito musicale, con l’idea di indeterminazione; il secondo con il suo insegnamento svolto attraverso lo spirito zen e la sua volontà di spersonalizzare l’arte” (10).

Prima di Fluxus: a lato
la scena degli anni ‘50

Sulla scena artistica statunitense all’esaurimento della grande ondata dell’Espressionismo astratto aveva fatto seguito una fase non meno intensa, anche se non egemonizzata da una nuova tendenza dominante, nella quale si affacciavano alla ribalta da un lato pittori come Larry Rivers, Grace Hartigan e Lester Johnson, definiti da Irving Sandler “Gestural Realists” (11), e dall’altro Ellsworth Kelly, Myron Stout e Leon Polk Smith rilanciavano l’astrazione in versione hard-edge. Frattanto si andavano delineando nella scultura sperimentazioni che facevano uso di materiali di riporto (David Smith prima, poi Richard Stankiewicz, Jean Follett e John Chamberlain) mentre pittori come Rauschenberg (legato egli stesso, secondo quanto già si è visto, a Cage) e Jasper Johns introducevano elementi oggettuali nei loro lavori (12), destinati comunque ad una visione frontale (come “Bed”, 1955, di Rauschenberg o la serie dei “Targets”, dello stesso anno, di Johns), seguendo una direttrice neodadaista destinata a sfociare anni dopo nel fenomeno dell’Arte Pop e Allan Kaprow (altro frequentatore del citato seminario di Cage) iniziava la riflessione che doveva portarlo a proporre nel 1959 alla Reuben Gallery di New York il primo storico happening.
Non meno vivace si presentava la scena europea, ed in particolare quella parigina, dove Dubuffet aveva scagliato contro l’asfissiante cultura la pietra dell’Art Brut ed il Lettrismo aveva proposto la séance de cinema (13), sorta di incunabolo dell’ happening, la mecaestetica integrale (che contemplava l’impiego di ogni possibile tipo di supporto) e il quadro supertemporale, opera aperta all’intervento successivo di diversi autori, mentre l’ala più radicale del movimento - costituita da Debord e Wolman, fondatori dell’Internazionale Lettriste - sperimentava le pratiche pre-situazioniste della dérive psicogeografica e del détournement di elementi estetici prefabbricati (14).
Sempre in Francia taluni ultra-lettristi raccolti intorno alla rivista “Grammes” (15) (Hains, Villeglé e Dufrêne, passati in seguito nelle file del Nouveau Réalisme) coltivavano la loro vocazione affichiste realizzando lavori con manifesti strappati e palizzate prelevate dalla strada. E Georges Mathieu, esponente di punta dell’Abstraction lyrique, inscenava la teatralizzazione della pittura realizzando in mezz’ora, nella sala del Teatro Sarah-Berhnardt, durante il Festival de Paris del 1956, una tela di dodici metri per quattro in omaggio ai poeti del mondo intero (16). Yves Klein, a sua volta, inaugurava nel 1958 chez Iris Clert la sua “exposition du vide” (17), in attesa di realizzare, nel 1960, le prime “antropometrie”.
A Londra l’Independent Group (18) lanciava nel 1952 il manifesto “Parallel of Life and Art”, di Alison e Peter Smithson, e allestiva nel 1956 una mostra come “This is Tomorrow”, incentrata sul tema della vita contemporanea, il cui catalogo pare un interessante precedente della grafica concepita da Maciunas per “An Anthology” di La Monte Young e Jackson McLow (1963). Nel 1959, Günther Metzger intraprende la sperimentazione dell’Auto-Destructive Art (19).
Nel settembre 1955 il danese Asger Jorn, reduce dall’esperienza del Gruppo CoBrA, creava ad Alba con Piero Simondo e Pinot Gallizio il Laboratorio sperimentale del Bauhaus Immaginista (20), nell’intento di fondere la soggettività artistica con le procedure della ricerca scientifica per realizzare un’arte che, superando la dimensione artigianale rivendicata dal primo Bauhaus, riuscisse a confrontarsi con un mondo ormai industrializzato senza cadere nelle secche del funzionalismo e dell’industrial design.
In Austria i poeti della Wiener Gruppe, presentavano nel 1958, una forma provocatoria di “lyterarische cabaret” (21) prossima, sotto certi aspetti, agli eventi Fluxus. L’anno successivo, in Germania, Otto Piene, esponente dello ZERO-Gruppe proponeva il suo “Lichtballett” alla Galerie Schmela di Düsseldorf (22).
In Oriente, infine, il Gruppo Gutaj, costituito nel 1954 in Giappone per iniziativa di Jiro Yoshihara, sperimentava l’arte ambientale (“Mostra all’aperto di arte moderna sperimentale”, Ashiya 1955) e l’azione (“L’arte Gutaj sulla scena”, Osaka 1957), tenendosi in contatto con artisti europei come Mathieu e critici come Michel Tapié (23).

Fluxus prima di Fluxus

Era quindi in un contesto internazionale particolarmente vivace (che si potrebbe allargare all’affermazione, in letteratura, della Beat Generation e al costituirsi di gruppi di danza e di teatro sperimentale) che si completava l’incubazione di Fluxus. In questa fase il New York City Audio-Visual Group (24), fondato da Al Hansen e Dick Higgins, presentava al Village Gate “Stacked Deck”, un’opera elettronica di Higgins (aprile 1958) e successivamente, alla Kaufmann Concert Hall, un programma di advanced music con lavori di Cage, Wolff, Hansen ed Higgins. L’anno seguente si verifica l’incontro fra George Maciunas (25) e La Monte Young, entrambi frequentatori del corso di Richard Maxfield, seguito al seminario di Cage alla New York School of Social Research. In Europa, Nam June Paik rende omaggio a Cage nell’ottobre 1959 con un movimentato concerto di sei minuti alla Galerie 22 di Düsseldorf, che implicava il rovesciamento d’un pianoforte e la rottura di un vetro, (un anno dopo, nello Studio di Mary Bauermeister, gli taglierà la cravatta) e Ben Vautier firma Agui-Gui, sculpture vivante et mobile (26). Mentre si moltiplicano gli happenings di Whitman, Grooms e Dine, nel dicembre 1960 inizia, sotto la direzione di Young, una sequenza di manifestazioni nello studio di Yoko Ono al numero 122 di Chamber Street, seguita dalle rassegne organizzate da Maciunas alla galleria AG nella primavera del 1961 sotto il titolo “Musica Antiqua et Nova” con la partecipazione di John Cage, Richard Maxfield, Dick Higgins, Jackson McLow, Earle Brown, Ray Johnson, Toshi Ichiyanagi, Yoko Ono e di artisti stanziati sulla West Coast come Robert Morris e Joseph Byrd. Inizia a circolare il termine Fluxus, come titolo di una rivista che Maciunas intende pubblicare. Wolf Vostell, già autore di azioni a Parigi e Barcellona, tiene in maggio una mostra (“Décollage Collages”) alla Galleria Lauhaus di Colonia e nello stesso periodo inizia a collaborare con Ben Patterson. Bob Watts presenta “Two Indeterminate Events” al Moderna Museet di Stoccolma. Nel novembre 1961, Maciunas parte per l’Europa.

Fluxus events & festivals

I contatti con gli ambienti artistici tedeschi, con Paik, quelli più conflittuali con Vostell, che stava progettando la sua rivista “Décoll/age”, sfociano nell’allestimento del primo festival Fluxus: il “Fluxus Internationale Neuester Musik” tenuto nella Hörsaal des Städtischen Museums di Wiesbaden dall’1 al 23 settembre 1962, con l’intervento di Robert Filliou, Dick Higgins, Arthur Koepcke, George Maciunas, Nam June Paik, Ben Patterson, Emmett Williams, Wolf Vostell e lo svedese Karl-Erik Welin. Il programma sembra ancora in bilico fra le ricerche più legate ad un contesto accademico, seppur avanzato, come quelle di Karlheinz Stockhausen, Gyorgy Lygeti, Gottfried Michael Koenig, Konrad Boehmer o, sul versante francese Pierre Schaeffer e Pierre Henry, e quelle invece più tipiche di Fluxus, quali “Zen for head” (27) , la famosa azione di Paik che lo vedeva tracciare una scia nera su un lungo foglio con la testa macchiata di colore o “Danger Music 2”, in cui fra l’altro, Alison Knowles radeva i capelli a Dick Higgins. In quest’ambito, oltre ai lavori degli intervenuti e di altri artisti già frequentemente citati, si annoverano un lavoro di Terry Riley e diversi pezzi di Philip Corner, che avrebbe dato vita l’anno successivo, con James Tenney e Malcolm Goldstein, al “Tone Roads Ensemble”, una formazione musicale il cui nome era ripreso da una serie di composizioni di Charles Ives. L’esecuzione delle sue “Piano Activities”, che consistevano nel danneggiare un pianoforte sino a distruggerlo ottennero un succés de scandale e vennero riprese dalla televisione tedesca. Una nota inedita viene dall’inclusione di autori italiani nel programma della seconda serata, con brani di Giuseppe Chiari (“Gesti sul piano”), di Sylvano Bussotti (“5 Klavier Stücke für David Tudor” ) e di Walter Marchetti (“Muzik”).
In ottobre, alla Galerie Monet di Amsterdam, senza label di Fluxus si svolge “Parallele Aufführungen Neuester Musik”, a cui partecipano – oltre a Higgins, Knowles, Maciunas e Paik - Carlheinz Caspari (28), Willem de Ridder e Tomas Schmit, conclusa con una performance di Vostell in strada che diede luogo a qualche disordine. Ancora in ottobre, alla Gallery One di Londra si tiene il “Festival of Misfits”, organizzato da Daniel Spoerri, dove intervengono, fra gli altri Robin Page, Metzger e Ben Vautier che realizza la celebre performance “Living Scuplture: 15 Days in a Window”, vivendo per quindici giorni nella vetrina della galleria.
A novembre, su una base di concerti ridotta nel numero e concentrata nelle tematiche, alla Nicolaj Kirke di Copenhagen ha luogo “Festum Fluxorum – Musik og Anti-Musik – Der Instrumentale Teater. Compare fra i performers in questa occasione Eric Andersen. Vengono eseguiti fra l’altro “Drip Music” (29) di George Brecht e “In memoriam to Adriano Olivetti” (30) di Maciunas. A dicembre si replica a Parigi.
Più importante l’appuntamento del febbraio 1963 all’Accademia d’arte di Düsseldorf: in questa occasione si aggiungono fra gli esecutori, Al Hansen, Robert Watts, e Joseph Beuys, che presenta il primo movimento della sua “Siberian Symphony”, decisamente poco intonato a Fluxus per la sua atmosfera mortifera (31), e, successivamente, il giocoso “Composition for 2 musicians”, in cui l’artista seduto al piano guarda suonare un giocattolo composto da un pagliaccio che suona il tamburo di fronte ad un altro che suona i piatti. In questa occasione viene lanciato fra il pubblico un volantino che riproduceva il “Fluxus manifesto” (32) di Maciunas.
A Copenhagen in marzo troviamo coinvolti in “Kammer Fluxus”, fra gli altri, Henning Christiansen e un giovanissimo Per Kirkeby, mentre “Dangermusic” a Stoccolma segna l’esordio di Bengt-af-Klintberg.
A New York in maggio si tiene una manifestazione complessa, organizzata da George Brecht con Bob Watts e Ben Patterson, intitolata YAM Festival (33), che nelle intenzioni degli organizzatori avrebbe dovuto rappresentare qualcosa di più aperto e indefinito rispetto a Fluxus, che andava acquisendo un’identità più stabile e riconosciuta.
Altri Festival Fluxus vengono organizzati a Copenhagen, Amsterdam, L’Aia. A Nizza in luglio va in scena il Fluxus Festival of Total Art and Comportament, caratterizzato da una prevalenza di performance in strada. Nell’occasione Ben dichiara la Promenade des Anglais museo internazionale di sculture viventi e firma la città di Nizza consacrandola “Oeuvre d’Art ouverte”.

Fluxkits for unlimited art-amusement

Nelle prime manifestazioni Fluxus, fra Stati Uniti ed Europa, il centro dell’attenzione era occupato dal festival (che, oltre a costituire una modalità di presentazione dal vivo del lavoro artistico, fornisce una formula aggregativa “debole” ma, al tempo stesso, particolarmente flessibile) e dall’evento, “unità minimale in un lavoro d’arte, di performance o di musica” (34), volta a comunicare al pubblico “piccole illuminazioni” (35), rivelatrici di “un’area di sensibilità” inedita, incentrata su aspetti “triviali, marginali, trascurati, cose sciocche e irrazionali, tics e feticci, idee inutili e invenzioni non necessarie, banalità assolute e varie forme di sacrilegio minore” (36).
A queste forme - l’una tendente a contrarsi nello schema del “concerto” (37), l’altra incline da un lato a consolidarsi in una sorta di repertorio e, dall’altro, a debordare dall’ambiente chiuso della sala o della galleria in strada - si affianca, dopo il rientro a New York, nell’agosto 1963, di Maciunas (preceduto nel ritorno da Dick Higgins e Alison Knowles), un interesse più marcato verso i progetti editoriali e la creazione di canali specifici per la diffusione di lavori artistici dei singoli artisti Fluxus.
Il progetto di una rivista intitolata “Fluxus” era stato reso pubblico sin dal 1961, in un invito a tre conferenze-dimostrazioni di Maciunas alla AG Gallery, dove si precisava che il contributo richiesto per l’ingresso era destinato a renderne possibile la pubblicazione. Nella “Brochure Prospectus for Fluxus Yearboxes” distribuito il 9 giugno 1962 alla Galerie Parnass di Wuppertal in occasione della sua conferenza “Neo-Dada in the United States” e dell’annessa rassegna di eventi “Aprés Cage”, Maciunas si qualificava come direttore del periodico. Paradossalmente, però, la house organ del gruppo sarebbe uscita solo nel 1964, sulla scorta di una precedente esperienza compiuta da George Brecht in occasione dello YAM Festival, con il titolo “cc V TRE”, nel gennaio 1964, proseguendo irregolarmente per altri sette numeri sino al maggio 1966. Vi compaiono – impaginati con una grafica sempre sorprendente ed efficace sotto il profilo comunicativo - tracce per eventi, corrispondenze, lavori di artisti Fluxus e annunci delle attività e delle pubblicazioni disponibili nel Fluxshop installato da Maciunas al n. 359 di Canal Street, in un appartamento al secondo piano che includeva anche uno spazio destinato a funzionare come Fluxhall. Gli ultimi tre numeri, distanziati nel tempo, costituiscono tributi a John Lennon e Yoko Ono (38) ed a Maciunas stesso (una “Laudatio scripta pro George concepta hominibus Fluxi” uscita nel maggio 1976 ed un omaggio apparso postumo nel marzo 1979) (39).
L’uscita della rivista, che non mancò di sollevare qualche polemica fra gli artisti coinvolti nelle attività Fluxus (40), anticipava il concretizzarsi - fra il 1964 ed il 1968 - di un altro fra i progetti lungamente coltivati da Maciunas, trasposto dal piano strettamente editoriale, inizialmente ipotizzato, a quello della produzione di multipli collettivi (Fluxus I, Fluxus Year Box 2, Fluxkit), tematici (Fluxfilms) ed individuali (come la scacchiera con pezzi ricavati da punte da trapano di Takako Saito, la “Finger Box” di Ay-O o “Fluxmusic” di Joe Jones) (41).
La caratteristica presentazione di queste raccolte di istruzioni per eventi, giochi, strumenti, falsi francobolli, buchi (42), oggetti misteriosi in valige, scatole di legno e cartone e, infine, in contenitori in perspex, forse in parte mutuata dalla duchampiana “Boîte-en-valise” (43), costituisce non soltanto un risultato di grande rilievo sul piano creativo ma un’esatta traduzione in concreto dell’idea maciunasiana di un unlimited, mass-produced art amusement (44), e, in potenza, una modalità espositiva portatile, divergente dalle forme tradizionalmente utilizzate nel circuito dell’arte. Flux-tensions & Something Else

Naturalmente lo sviluppo assunto dai nuovi campi di attività non doveva cancellare quello che era stato il primo ambito di affermazione di Fluxus. Numerosi altri concerti sarebbero stati organizzati negli Stati Uniti ed in Europa dopo il 1963, a partire dai “Fully Guaranteed 12 Fluxus Concerts” tenuti nella Fluxhall di Canal Street nell’aprile-maggio 1964 e dal Fluxus Symphony Orchestra Concert andato in scena alla Carnegie Recital Hall il 27 giugno dello stesso anno. Nel contempo, però, venivano ad emergere taluni contrasti fra Maciunas ed alcune personalità di spicco della costellazione Fluxus. I ritardi nella pubblicazione del suo volume “Jefferson’s Birthday/Postface” (45) spingevano Dick Higgins a creare, nella primavera del 1964, la Something Else Press, che avrebbe pubblicato negli anni a seguire opere importanti sia di personalità legate a Fluxus come George Brecht, Ray Johnson, Emmett Williams, Geoff Hendricks sia di autori come Marshall McLuhan, Merce Cunningham e Richard Meltzer, spaziando fra la poesia visuale, l’happening, la coreografia e l’estetica del rock (46). La fondazione della nuova casa editrice era stata interpretata come indizio di una nascente rivalità da Maciunas, che vide un intento analogo nella seconda edizione del “New York Avant-Garde Festival” organizzato nell’agosto da Charlotte Moorman alla Judson Hall e invitò gli artisti Fluxus a non parteciparvi. L’invito fu disatteso da Higgins e Paik. L’allestimento di “Originale”, un’opera multimediale di Karlheinz Stockhausen, curato da Allan Kaprow nell’ambito del Festival, divenne motivo di ulteriore scontro generando un picchettaggio, effettuato davanti all’ingresso del teatro da Henry Flynt (che aveva frattanto dato vita all’A.A.I.C. - Action Against Cultural Imperialism), Maciunas, Ben, Ay-O e Takako Saito. Le tensioni generate in questa occasione fra la parte più sensibile alle implicazioni politiche dell’attività culturale (Flynt e Maciunas, e – su base in parte differente – Ben) e coloro che erano interessati principalmente alla creazione artistica diedero luogo ad una crisi interna sfociata nella richiesta di dimissioni da Chairman (47) di Fluxus di Maciunas, che, afflitto anche da problemi di salute, sembra abbia allora passato le consegne, per un breve periodo, a Bob Watts.
In ogni caso le tensioni, a differenza di ciò che si sarebbe potuto prevedere, non dovevano segnare la fine di Fluxus. I rapporti fra i singoli artisti coinvolti tagliavano trasversalmente gli schieramenti e, benché le prime manifestazioni successive (48) riflettessero le contrapposizioni marcate nel periodo immediatamente anteriore, non vi furono conseguenze irreversibili. Come osserva Hannah Higgins in un paragrafo del saggio “Fluxus Fortuna” intitolato “Structure of Fluxus Community”, “Fluxus è simultaneamente un gruppo vario e profondamente impegnato di artisti che sono in disaccordo su molte cose ma che continuano a ritenere importante, utile e fertile la compagnia l’uno dell’altro” (49).

Flux-related Groups & Singles

Emergevano intanto artisti stanziati fuori dagli Stati Uniti e dai Paesi europei toccati dalla prima tornata di festivals Fluxus. A Tokyo operava dal 1963 l’Hi Red Center (Haireddo Senta), formato da Jiro Takamatsu, Natsuyuki Nakanishi e Genpei Akasegawa, il cui “Street Cleaning Event” (50) veniva presentato a New York nel giugno 1966 da Bob Watts, Dan Lauffer, Geoff & Bici Hendricks, George Maciunas, Barbara e Peter Moore, seguito da un “Hotel Event” al Waldorf Astoria. In Cecoslovacchia l’Aktual Group (51) (Aktual Umeni) animato da Milan Knizak con Jan Trtilek, Sona Svecova, Vit Mach and Jan Mach, produceva – nell’ottobre dello stesso anno – un festival Fluxus a Praga. In Spagna il Gruppo Zaj (52) (Esther Ferrer, Juan Hidalgo, Walter Marchetti) sfidando la censura del generale Franco organizzava festival all’Università di Madrid (1965) e in diversi spazi a Barcellona (1966). In Italia, per iniziativa di Daniela Palazzoli e Gianni-Emilio Simonetti (53), veniva allestito nel marzo 1964 alla Galleria Blu di Milano un concerto di Giuseppe Chiari, seguito a settembre da un “Recital d’avanguardia”, tenuto da Brecht, Cage, Chiari e Higgins. Un concerto Fluxus si svolgeva nel giugno ’67 alla Galleria la Bertesca di Genova (54), mentre un’altra rassegna viene apprestata nello stesso mese presso la Villa Cucirelli di Gallarate.

Fluxus: attraverso gli anni ’70

Molte vicende ancora appartengono agli anni ’60: l’apertura de “La cedille qui sourit” da parte di Filliou e Brecht a Villefranche-sur-Mer; il “Vagina Painting” messo in atto da Shigeko Kubota il 4 luglio 1965, a New York, nell’ambito del “Perpetual Fluxfest”; la presentazione, nel novembre di quello stesso anno della “Rainbow Staircase”, un environment realizzato secondo le istruzioni di Ay-O, alternando elementi tattili differenti, colorati, morbidi, nascosti; il coinvolgimento di artisti come Jeff Berner, Davi det Hompson, Paul Sharits, Greg Sharits, Ken Friedman e – a margine – i bed-in di John Lennon e Yoko Ono a Montreal ed Amsterdam.
Nello stesso arco di tempo Maciunas metteva in cantiere un progetto cooperativo per la creazione di una Fluxhouse, che gli varrà in prosieguo le sgradite attenzioni della Giustizia americana e, successivamente, una seria menomazione fisica (55).
Il decennio successivo si apre con una manifestazione tenuta, grazie all’influenza di Geoff Hendricks che vi insegnava, al Douglass College. L’evento principale era rappresentato dalla messa in scena di una “Fluxmass”, celebrata da Yoshimasa Wada e servita da chierici vestiti da gorilla, con antifone sostituite da ululati canini, con divertimento di molti spettatori e profondo sdegno del Cappellano della Chiesa Episcopale. Lungo la linea ispirata alla parodia dei riti contemporanei (religiosi o laici) nel giugno del 1971 Bici Forbes e Geoff Hendricks celebrano il decennale della loro unione con “Flux Divorce”, dividendo la casa secondo una logica paradossale che implicava l’installazione di una barriera divisoria persino sul water closet.
Un tentativo di accostamento fra esponenti storici Fluxus ed altri artisti in qualche modo affini trova invece spazio – sembra, retrospettivamente, senza troppa fortuna - in “Fluxshoe”, una rassegna itinerante ideata da Mike Weaver e David Mayor, realizzata con la collaborazione di Ken Friedman, inaugurata nell’ottobre 1973 a Falmouth (56).
Nel settembre 1976 viene installato, alla Accademia d’Arte di Berlino, in occasione del 26mo Festival delle Arti, un complesso “Fluxuslabyrinth” disegnato e installato da Maciunas e Larry Miller, costituito da porte, passaggi, elementi tattili e sensoriali dislocati sulle pareti e sul pavimento (57).
Nel 1978 Maciunas, frattanto trasferitosi da New York a Marlborough, propone il suo “Fluxwedding” con Billie Hutchins. La cerimonia, durante la quale gli sposi si scambiano gli abiti, ha luogo il 25 febbraio, con Geoff Hendricks nelle funzioni di “Fluxminister”. Di lì a poco, il 13 maggio, lo stesso Hendricks, assumerà nuovamente il ruolo di celebrante per guidare una processione funebre per Maciunas, il “Fluxfuneral” che George aveva desiderato.

Fluxus Museum Gala etc.

Nel novembre 1970, Fluxus riceve il primo riconoscimento museale d’impronta già in qualche modo retrospettiva con la rassegna “Happening & Fluxus”, allestita da Hans Sohm e Harald Szeeman alla Kölnischer Kunstverein di Colonia. Una seconda ondata d’iniziative giunge a ridosso del ventennio d’attività, con rassegne come “Fluxus etc. The Gilbert and Lila Silverman Collection” (58), “Fluxus. Aspekte eines Phänomens” (59) e “1962 Wiesbaden FLUXUS 1982” (60). La terza, all’inizio degli anni 90, culmina nella mostra “Ubi Fluxus ibi motus (1990-1962)” (61) allestita a Venezia da Achille Bonito Oliva in occasione della XLIV Biennale. Mentre, in una prospettiva temporale meno contratta, si avverte meglio la distanza assunta, rispetto a Fluxus, dalle traiettorie creative di artisti che pure erano stati profondamente coinvolti in numerose manifestazioni del gruppo. L’opera di Beuys, Vostell, Spoerri, dello stesso Paik, si sviluppa in direzioni divergenti dalle idee base di Fluxus. Beuys rivendica sempre più distintamente all’arte una componente palingenetica, in un ambito di partecipazione politica e di salvaguardia degli equilibri ecologici; Wolf Vostell in prossimità degli anni ’80 si dedica ad una pittura di matrice espressionista (62), Spoerri coltiva progetti personali come la Eat Art; Paik si dedica sempre più alla creazione di sculture e ambienti video. Nello stesso tempo si espande la conoscenza del lavoro degli artisti più strettamente legati all’esperienza Fluxus. Entrano nel panorama visivo di una cerchia sempre più vasta di persone i “quadri nascosti” di Eric Andersen, le tavole-arcobaleno di Ay-O, le scritte di Ben contro l’ego, gli slogan di Chiari, le silhouettes di Venere di Al Hansen, i cieli rannuvolati di Geoff Hendricks, gli spartiti popolati di frecce di Dick Higgins. Così come gli strumenti automatici di Joe Jones, i dischi spezzati (“Destroyed music”) di Milan Knizak, i contenitori di fagioli di Alison Knowles, le “Genomic Licenses” di Larry Miller. E ancora: i gatti di Yoko Ono, la “Clinica del Dottor Ben” di Ben Patterson, le scacchiere di Takako Saito, i “fluxstamps” di Bob Watts. O, in ambito acustico, le “Metal Meditations” di Philip Corner.

Coda: Fluxus interpretato

Intorno alla identità di Fluxus si è concentrato, nel tempo, un significativo ventaglio di interpretazioni e/o di speculazioni teoriche. “In principio era la confusione – scrive Emmett Williams – Un mucchio di confusione. Non del genere che c’è oggi a proposito di cos’é o cos’è stato Fluxus o di chi è Fluxus e di chi non lo è. Ma, a quel tempo, c’era un bel po’ di flusso in Fluxus”(63). Sotto questo profilo la situazione non sembra essere migliorata da allora. Ancor oggi, la questione se Fluxus sia (sia stato) un movimento, un gruppo connotato storicamente, uno dei vari “ismi” contemporanei, ovvero un’attitudine - se non addirittura una forma trans-storica di pensiero - permane tuttora irrisolta. Il consiglio di Philip Corner è di lasciar perdere: di Fluxus “meno ne sappiamo e meglio è” (64).
Sul primo punto va riconosciuto che Fluxus si è (consapevolmente) sottratto al modello invalso dell’avanguardia, presentando manifestazioni in luoghi diversi e con organici mutevoli, stabilendo fra quanti hanno preso parte alla sua vicenda un legame flessibile ma profondo e duraturo. La situazione iniziale è stata rappresentata come una sorta di “fronte unito”, costituito per l’esigenza di disporre di “un forum, libero dalle pastoie dell’establishment artistico, dove eseguire i propri lavori e quelli degli spiriti affini” (65). Ma il fattore generazionale e le circostanze della formazione potrebbero indurre ad apparentarla invece con il modello della classe o della fraternity universitaria americana.
L’idea di Fluxus come attitudine annovera in primis fra i suoi sostenitori Dick Higgins, secondo il quale “Fluxus non è un momento nella storia né un movimento artistico. Fluxus è un modo di fare le cose, una tradizione, un modo di vivere e morire”. In una posizione intermedia si colloca invece uno studioso come Owen K. Smith che afferma: “La parola ‘Fluxus’ è stata sia un nome usato da una comunità mutevole di individui come etichetta appropriata per le loro attività collettive, sia un termine per definire un’attitudine generale, non necessariamente connessa ad un’attività specifica”.
Un passo ulteriore potrebbe consistere nell’assumere Fluxus come attitudine manifestata da una comunità variabile, ma comunque determinata, di persone, attraverso una sequenza di attività individuali e collettive. La storicità di Fluxus – come di talune avanguardie - non sembra, infatti, dipendere tanto da circostanze, più o meno fortuite, ma esattamente situate nel tempo della loro formazione o dal fatto che l’attività esplicata dalla costellazione dei Fluxers abbia di fronte a sé termini temporali identificabili, seppure in via ipotetica. Pare risiedere, piuttosto, nella costruzione della griglia intellettuale e culturale sottesa all’attitudine stessa, che nella sintesi formulata da Higgins include: “internazionalismo, sperimentalismo, propensione iconoclastica, intermedia (66), minimalismo, superamento della dicotomia arte/vita, coinvolgimento, gioco o gags, carattere effimero, specificità” (67). Il rimpiazzo, da parte di Ken Friedman (68), in un successivo inventario, del termine “internazionalismo” con “globalismo” e l’assenza del giudizio deteriore sull’immagine non vanno lette – come l’assenza dell’indeterminazione, che figurava nell’elenco di “An Anthology” – come una diversa descrizione di un terreno comune, ma già rendono avvertibile lo scarto (storico in senso pregnante e non meramente nominale) fra le due visioni, sorte entrambe nel medesimo ambito di operatività.
Questo asserto non porta, con tutta evidenza, a concludere che Fluxus sia un sentiero interrotto o, più radicalmente, una fase esaurita. Al contrario, induce a considerare in una scala appropriata l’unicità della sua piattaforma, o - per attenerci ad un’espressione di George Brecht - di “quel qualcosa d’indefinibile in comune” che lasciava percepire. E, in certo modo, fa comprendere che l’affermazione secondo cui “Fluxus non è ancora iniziato” (69) non è solo l’ennesima estrosità destinata a sconcertare gli interlocutori ma una sfida sempre valida.

NOTE

1. Il testo fra parentesi costituisce una ripresa, alterata, di frasi tratte dal volume di Jacques Derrida e Maurizio Ferraris, “Il gusto del segreto”, Laterza, Bari 1997.
2. “Expanded Arts Diagram” by George Maciunas, “Film Culture” n. 43, Expanded Arts Special Issue, New York 1966, riportato nel volume di Richard Kostelanetz, “Essaying Essays”, Out of London Press, New York 1975, tra le pagine 176 e 177.
3. “Dada Painters and Poets”, curated by Robert Motherwell, Wittenborn, New York 1961,
4. Larry Miller, “Transcript of the videotaped Interview with George Maciunas, 24 march 1978”, in Fluxus Reader, edited by Ken Friedman, Academy Editions, Chichester UK 1998, p. 183 (traduzione italiana nel catalogo della mostra “Promuovere l’alluvione. Fluxus nella sua epoca 1958-1978”, Umbertide-Roma-Perugia, Adriano Parise editore, Colognola ai Colli (VR) 1998, pp. 278 ss.) 5. Intervista di Irving Sandler a John Cage, New York 6 maggio 1966, citato in Irving Sandler, “The New York School. The Painters & Sculptors of the Fifties”, Icon Editions, Harper & Row Publishers, New York 1978, pp. 164-165.
6. Fra le prime composizioni per “piano preparato”: “Imaginary Landscape No.1”, percussion, muted piano, record player, 1939; “Bacchanale”, first solo for prepared piano, Syvilla Fort dance, 1940 .
7. V. Rosalee Goldberg, “Performance. Live Art 1909 to the Present”, Thames & Hudson, London 1979, p. 82 e Martin Duberman, “Black Mountain. An Exploration in Community”, W:W. Norton, New York-London, pp. 368-379.
8. Larry Solomon, “The Sound of Silence. John Cage’s 4’33” ”, 1998, all’indirizzo http://solo1.home.mindspring.com/4min33se.htm, dove è reperibile anche una riproduzione del manifesto.
9. V. intervista di Larry Miller a George Maciunas, in K. Friedman, op. cit, p. 184.
10. Citato in Owen F. Smith, “Fluxus, the History of an Attitude”, San Diego State University Press, San Diego CA 1998.
11. V. Irving Sandler, op. cit., pp. 103-139.
12. La denominazione utilizzata da Rauschenberg per opere di questo tipo era, significativamente: Combine-Paintings V. in proposito Lawrence Alloway, “Rauschenberg Development” in cat. Robert Rauschenberg, mostra National Collection of Fine Arts Washington et al., 1977, pp. 10 ss.
13. V. Maurice Lemaître, “Le film est dejà commencé?”, Editions André Bonne, Paris 1952.
14. V. G.-E. Debord - G.J. Wolman, “Mode d’emploi du détournement, in “Les levres nues”, n. 8, Bruxelles maggio 1956, pagg. 2-9, e G.-E. Debord, “Théorie de la dérive”, in “Les levres nues”, n. 9, Bruxelles novembre 1956, pp. 6-13. Da notare che, in ordine alla dérive, Debord manifesta diffidenza verso il caso ed il suo “impiego ideologico, sempre reazionario”, mentre per quanto attiene al détournement, l’accento viene posto non sulla casualità degli accostamenti ma sul quoziente di estraneità degli elementi in gioco.
15. “Grammes”, rivista del gruppo ultralettrista, promossa da Robert Estivals esce in sette numeri fra il 1957 ed il 1961.
16. Georges Mathieu, “De la revolte à la Renaissance. Au-delà du Tachisme”, Gallimard, Paris 1973, pp. 125-126.
17. L’esposizione fu inaugurata il 28 aprile 1958 nello spazio della Galerie Iris Clert al n. 3 di Rue de Beaux-Arts, a Parigi.
18. V. “The Independent Group: Postwar Britain and the Aesthetic of Plenty” a cura di David Robbins, cat. mostra Institute of Contemporary Arts – London et al., The MIT Press, Cambridge (Massachusets) & London 1990, in particolare pp. 129 e pp. 150 ss. .
19. Il manifesto dell’ “Autodestructive Art” fu pubblicato da Gustav Metzger nel Novembre 1959.
20. V. Mirella Bandini, “L’estetico, il politico”, Officina Edizioni, Roma 1977, pp. 68-100.
21. V. “Die Wiener Gruppe”, cat. edito in occasione della Biennale di Venezia del 1997, Springer Verlag, Wien 1997, p, 323 ss.
22. V. “Otto Piene. Retrospektive 1952-1996” cat. Mostra Kunstmuseum Düsseldorf in Ehrenhof, Wienand, Köln 1996, p. 111.
23. V. Michel Tapié – Tore Haga, “Continuité et avant-garde au Japon”, F.lli Pozzo editori, Torino 1961.
24. La vicenda del New York City Audio-Visual Group è sinteticamente ripercorsa da Al Hansen nelle pagine autobiografiche del terzo capitolo di « A Primer of Happenings & Time/Space Art”, Something Else Press, New York 1965. V. in particolare le pp. 102-104.
25. V. Jackson Mac Low, “How Maciunas met the New York Avant Garde”, in “Art & Design”, profile n. 28, “Fluxus Today and Yesterday”, edited by Johan Pijnappel, Academy Group Ltd., London 1993.
26. V. “Tout Ben”, Editions du Chêne, Paris 1974, pp. 20-21
27. L’azione di Paik costituiva una variante di un lavoro di La Monte Young del 1960, le cui istruzioni erano: “Draw a straight line and follow it” (“Disegna una linea retta e seguila”).
28. Carlheinz Caspari, regista sperimentale, amico di Asger Jorn, collaborerà con Constant al libro”Labyrimes” edito da Piet Clement nel 1965.
29. Le istruzioni suonano: “Una fonte da cui sgocciola l’acqua e un vaso vuoto vengono disposti in modo che l’acqua cada sul vaso”:
30. “Gli esecutori utilizzano il nastro di una vecchia calcolatrice come spartito. Ogni numero sul nastro rappresenta una battuta del metronomo. Ad ogni esecutore è assegnato un numero. Quando il suo numero compare, inizia la sua esecuzione. Le performances possono consistere in azioni (togliersi e rimettersi il cappello, agitare i pugni, fare delle facce, ecc.) o in suoni (scatti della lingua, schiocchi, baci, pernacchie con le labbra ecc.). Gli esecutori possono compiere la stessa azione od una differente, produrre tutti lo stesso suono o un suono differente. Gli esecutori dovrebbero esercitarsi nel suono o nell’azione loro assegnata in modo da ottenere esecuzioni nitide -- tagliente, azione o suono definito, grave se si tratta di un suono, a tempo con la scansione del metronomo”.
31. L’artista porta sulla scena una lepre morta e dopo aver suonato al piano brani della “Messe des pauvres” e della “Sonnerie de la Rose + Croix” di Erik Satie, lega all’animale dei fili a loro volta legati a rami di pino, poi ne estrae il cuore, che appende alla lavagna e infine depone l’animale morto su una piccola cassa ai piedi della lavagna (V. “Joseph Beuys” cat. esposizione Centre Pompidou, Paris 1994, p. 270).
32. “Fluxus” – scriveva Maciunas – “purga il mondo dall’estenuatezza borghese, della cultura “intellettuale”, professionistica e commercializzata, purga il mondo dall’arte morta, dall’arte artificiale, dall’arte astratta, dall’arte illusionistica, dall’arte matematica. PURGA IL MONDO DALL’ “EUROPANISMO” (...) PROMUOVE L’ALLUVIONE E LA MAREA RIVOLUZIONARIA NELL’ARTE. Promuove l’arte vivente, l’anti-arte, LA REALTA’ NON ARTISTICA, per essere afferrata da tutti e non soltanto dai critici, dilettanti e professionisti. (...) FONDE i quadri dei rivoluzionari culturali, sociali e prolitici, in un fronte ed in un’azione unita.
33. Il titolo del Festival era ricavato dal nome del mese, letto alla rovescia (MAY-YAM).
34. Dick Higgins, “Horizons. The Poetics and Theory of the Intermedia”, Southern Illinois University Press, Carbondale and Edwardsville 1983, p. 137;
35. George Brecht, “The Origin of Events”, in Hans Sohm – Harald Szeeman ed., “Happening & Fluxus”, catalogo della mostra svoltasi alla Kölnischer Kunstverein, Köln dal 6/11/1970 al 6/1/1971.
36. Henry Martin, “An Introduction to George Brecht’s Book of Thumbler on Fire”, Multhipla, Milano 1978, p. 17.
37. Ben Vautier annota: “Un concerto Fluxus è il risultato di della riflessione teorica di Maciunas che, cercando di evitare l’influenza della conoscenza e della cultura (imperialismo culturale) e della noia d’uno spettacolo di avanguardia ha concepito l’ossatura di una sequenza comprendente da 20 a 30 pezzi che non durano più di uno o due minuti ciascuno, dal ritmo rapido, netto, chiaro, e che evitano sempre la finzione, l’estetismo e la teatralità ossia la commedia, secondo lui inutile. Dunque, benché siano spettacoli creativi che possiedono ingredienti Fluxus, uno spettacolo « azione e vita » di Vostell, uno spettacolo d’Art Total di Ben, uno spettacolo di poesia visuale di Higgins, un concerto ripetitivo di La Monte Young ecc., non possono essere confusi con il Concerto Fluxus classico” (il testo originale è reperibile nel sito web di Ben Vautier, all’indirizzo : http://www-ben-vautier.com/1997/fluxus4.html)
38. n. 9 (1970) - JOHN YOKO & FLUX all photographs copyright nineteen seVenty by peTer mooRE.
39. n. 10 (May 2, 1976) – FLUXUS maciuNAS V TRE FLUXUS laudatio ScriPTa pro GEoRge; n. 11 (March 24,1979) – a V TRE EXTRA.
40. L’appunto rivolto alla rivista da Tomas Schmit e Dick Higgins era di far uso di una forma di humor troppo “plebea” (v. Owen F. Smith, op. cit., p. 140 ss.).
41. Per una dettagliata descrizione dei multipli Fluxus, collettivi e individuali, v. Jon Hendricks, “Fluxus Codex”, The Gilbert and Lila Silverman Fluxus Collection, Detroit, Michigan in association with Harry N. Abrams, Inc., Publishers, New York 1988.
42. Il riferimento è ai “Fluxholes” di Ben Vautier.
43. Marcel Duchamp, “La Boîte-en-Valise”, Parigi 1936 – New York 1941. Scatola in cartone, talvolta contenuta in una valigia in cuoio, contenete da 68 ad 83 riproduzioni (a seconda dell’epoca di edizione) in scala o in fotografia dell’opera dell’artista.
44. “The value of art amusement must be lowered by making it unlimited, mass-produced, obtainable by all and eventually produced by all”, George Maciunas, “Fluxus Manifesto”, 1965.
45. L’opera, in due volumi, costituisce la prima pubblicazione della Something Else Press (1964). Da notare che, secondo quanto riportato da Higgins in una lettera a Tjeena Deelstra del 13 marzo 1967, la denominazione scelta in un primo tempo da Higgins per la sua casa editrice era “Original Fluxus”, probabilmente in polemica con il progressivo distacco di Maciunas dal programma editoriale originariamente concepito.
46. Il catalogo della Something Else Press comprendeva infatti, fra l’altro, “Chance Imagery” di George Brecht (1966), “Paper Snake” di Ray Johnson (1965), “Popular Entertainments” di Philip Corner (1967), “An Anthology of Concrete Poetry” di Emmett Williams (1967), “Ring Piece” di Geoffrey Hendricks (1973), nonché “Verbi-Voco-Visual Explorations” di Marshall McLuhan (1967), “Changes: Notes on Choreography” di Merce Cunningham (1968), “Store Days” di Claes Oldenburg (1968) “Aesthetics of Rock” di Richard Meltzer (1970). A proposito della vicenda della casa editrice fondata da Dick Higgins v. anche: Barbara Moore, “Some Things Else About Something Else”, in catalogo mostra “Fluxus Da Capo”, Wiesbaden 1992, pp. 96 ss.
47. In realtà il ruolo di Maciunas non dipendeva da una qualifica formale, comunque semiseria, ma dall’attività organizzativa effettivamente svolta.
48. “Perpetual Flux-fest, flux-sports” tenuta alla Washington Square Gallery di New York nel settembre 1964, con la partecipazione di Ay-O, Joe Jones, George Maciunas, Takako Saito, Mieko Shiomi; “Concert”, Philadelphia College of Art, in ottobre, con George Brecht, Dick Higgins, Alison Knowles, Charlotte Moorman, Nam June Paik, Diter Rot.
49. Hannah Higgins, “Fluxus Fortuna” in “Fluxus Reader”, op. cit., p. 37.
50. Gli interpreti sono vestiti con indumenti bianchi, come tecnici di laboratorio. Si dirigono verso una zona della città scelta preventivamente. Un’area del marciapiede è designata per l’evento. Quest’area viene pulita con strumenti non usualmente impiegati per la pulizia delle strade, come attrezzi dentali, spazzolini da denti, pagliette in metallo, batuffoli di cotone impregnati d’alcool, tamponi, spugne da chirurgo, stuzzicadenti, tovaglioli di tela ecc..
51. A proposito delle connessioni e delle differenze fra Aktual e Fluxus, Knizak ha dichiarato: “Non ci sono effettive connessioni o differenze. Non era il lavoro di Fluxus che amavamo (e che ci era necessario) ma la sua esistenza” (v. Harry Ruhé, “Fluxus, the most radical and experimental Art Movement of the Sixties”, Galerie A, Amsterdam 1979, voce Knizak).
52. V. per le attività del gruppo, il catalogo della mostra tenuta al Museo Reina Sofia di Madrid, dal 23 gennaio al 21 marzo 1996.
53. Gianni-Emilio Simonetti già aveva eseguito, nel giugno 1966, a Campo Imperatore un “Concerto Fluxus per aquiloni” e terrà in seguito, nel giugno 1970, all’aeroporto di Belgrado un “Concerto Fluxus per teli, segnali e vento”. Lo stesso Simonetti è, con Carlo Romano, autore del saggio “Introduzione ad una fenomenologia rozza del gruppo Fluxus”, uno dei primi affondi interpretativi su Fluxus apparsi in Italia (nel n. 4/1976 della rivista “Le Arti”). A proposito della ricezione di Fluxus nel contesto italiano, Carlo Romano scrive nel saggio “Su Fluxus: lineamenti” (in “Alfabeta” n. 31, Milano, dicembre 1981): “E’ in Italia - con qualche testo della Palazzoli, certe sue iniziative, dei lavori del Simonetti, l’attività della ED 912 – che alla seconda metà degli anni sessanta si profila un ispessimento critico che già fa avvertire gli appuntamenti con la storia”.
54. “Concert Fluxus”, galleria la Bertesca, Genova, 6 giugno 1967 (esecutori: Gianni Emilio Simonetti, Ugo Nespolo, Gianni Sassi e Sergio Albergoni).
55. A seguito di una disputa sopravvenuta con un imprenditore che aveva lavorato in subappalto per conto di una delle diverse cooperative per la ristrutturazione di edifici da lui costituite, Maciunas fu oggetto di un’aggressione che gli provocò, oltre ad altre lesioni, la perdita di un occhio.
56. V. il resoconto di David Mayor nel sito web della Tate Gallery di Londra (http://www.tate.org.uk/collections/mayor.htm).
57. V. Jon Hendricks, op. cit., pp. 76 ss.
58. La mostra, accompagnata da catalogo, ebbe luogo al Cranbook Academy of Art Museum, Bloomfield Hills (Michigan), dal 20 settembre all’1 novembre 1981.
59. Mostra a cura di Ursula Peters e Georg F. Schwarzbauer, svoltasi al Kunst und Museumsverein Wüppertal im Von der Heydt-Museum, dal 15 dicembre 1981 al 31 gennaio 1982.
60. v. “1962 Wiesbaden Fluxus 1982. Eine kleine Geschichte von Fluxus in drei Teilen”, a cura di René Block, Harlekin Art, Wiesbaden 1982.
61. V. catalogo ed. Mazzotta, Milano 1990. Fra le altre mostre del periodo attinenti a Fluxus: “Fluxus: Selections from the Gilbert and Lila Silverman Collection”, New York, Museum of Modern Art, 1988-89; “Fluxus Subjektiv”, Galerie Krinzinger, Wien 1990; “Was ist Fluxus?”, Kunstmuseum Winterthur, 1991; “Fluxus Virus”, Temporäres Museum (Kaufhof-Parkhaus, Kölnischer Kunstverein, Moltkerei) Köln 1992; “In the Spirit of Fluxus”, Walker Art Center, Minneapolis 1993.
62. V. catalogo della mostra “Wolf Vostell. Pour mémoire. Tableaux et dessins 1954-1982”, a cura di Dominique Viéville, Musée de Beaux-Arts et de la Dentelle, Calais, 27 giugno – 15 novembre 1982, ove è fra l’altro riportato il ciclo pittorico dedicato dall’artista a “Juana la Loca”. Vostell continuerà comunque a richiamarsi all’esperienza Fluxus : nel 1981 organizza una mostra itinerante (“Fluxus-Zug”), allestendo un treno destinato a toccare quindici città tedesche della Renania-Westfalia; mentre nel 1995 realizza una maquette per una scultura intitolata “Fluxus-Russian”, che presenta un jet ricoperto da una sequenza d’immagini di schermi televisivi, con la punta incastrata in un pianoforte.
63. Emmett Williams, “Happy Birthday Everybody”, in “Art & Design” profile n. 28, “Fluxus Today and Yesterday”, cit., p. 27.
64. V. Henry Martin, “Fiat Flux”, in cat. mostra “Fluxers”, Museo d’Arte Moderna, Bolzano (11 dicembre 1992 - 14 febbraio1993), p. 25.
65. Emmett Williams, “Happy Birthday Everybody”, in “Art & Design” profile n. 28, “Fluxus Today and Yesterday”, cit., p. 28.
66. Dick Higgins qualifica come “intermedia” le forme di ricerca che si collocano nel territorio inesplorato fra una disciplina artistica e l’altra. L’happening, ad esempio, è un intermedium fra collage, musica e teatro (v. “Horizons”, cit., pp. 18 ss.).
67. V. Dick Higgins, “Fluxus: Theory and Reception” in “Modernism since Postmodernism. Essays on Intermedia”, San Diego State University Press, San Diego 1997, pp. 174-175.
68. V. Ken Friedman, “Fluxus and Company“, in “Fluxus Reader“, cit., pp. 244 ss.
69. Affermazione pronunciata da Dick Higgins o da Emmett Williams, riportata da Ken Friedman in “Introduction: a transformative Vision of Fluxus” in “Fluxus Reader”, cit.,p. X.

 

  (2002)



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